Il Governo ha scelto di accogliere cittadini palestinesi a San Marino richiamando l’emergenza umanitaria legata a Gaza. È una scelta politica. E come tutte le scelte politiche va valutata sui fatti, non sulle intenzioni.
Il primo fatto è questo: la guerra a Gaza non è formalmente conclusa, ma non è neppure una guerra continua e generalizzata. È una condizione di instabilità cronica, fatta di tregue intermittenti, tensione permanente e rischio di riacutizzazione. Questa situazione può giustificare una protezione temporanea. Non giustifica, però, un percorso di integrazione stabile e senza limiti.

Nel decreto, invece, il “temporaneo” è solo una parola. I permessi sono rinnovabili, i benefici sono pieni, non esiste una data di uscita, non esiste un meccanismo automatico di rientro quando l’emergenza viene meno. Si costruisce la permanenza mentre si parla di emergenza. Le due cose non stanno insieme.
Secondo fatto: la sicurezza. Gaza è un territorio controllato da Hamas, organizzazione terroristica riconosciuta come tale da UE e Stati Uniti. Questo non significa che chi arriva sia un terrorista. Significa una cosa diversa e più seria: nessuno può garantire controlli assoluti su contiguità, legami familiari, simpatie ideologiche o radicalizzazioni indirette. In un micro-Stato come San Marino, con strumenti limitati, il rischio zero non esiste. E quando non puoi garantire sicurezza, devi fermarti prima, non dopo.
Terzo fatto: i numeri. Oggi si parla di 30 persone. Domani, con i rinnovi dei permessi e i ricongiungimenti familiari, diventano molte molte di più. Non c’è un tetto complessivo, non c’è una soglia temporale, non c’è una clausola che dica “finita l’emergenza, si torna indietro”. È una traiettoria già vista: pochi oggi, molti domani, irreversibilità dopodomani.
Quarto fatto: i costi. Non esiste una stima pubblica e trasparente. Sappiamo però che sanità, scuola, servizi sociali, contributi economici, alloggi e utenze ricadono sulla collettività. Paghiamo noi. Subito. Integralmente. Senza un piano di rientro.
Quinto fatto: le priorità interne. A San Marino ci sono famiglie che vivono di Caritas, giovani che rinviano figli perché non ce la fanno, coppie senza prospettive. Su questo nessuna emergenza, nessun decreto, nessuna urgenza. Le risorse si trovano per chi arriva da fuori, non per chi è nato qui. È una scelta di campo.
Tutto questo avviene con una politica debole e traballante, che fatica a gestire l’ordinario e prende decisioni potenzialmente irreversibili sullo straordinario, senza consenso largo e senza spiegare dove si vuole arrivare.
Il punto fermo, alla fine, è uno solo: la responsabilità.
La responsabilità di dire come finisce questa storia.
La responsabilità di garantire la sicurezza prima dell’accoglienza.
La responsabilità di mettere al centro i cittadini sammarinesi.
Non è una questione ideologica.
Non è una questione etnica.
È una questione di sicurezza, sostenibilità e priorità.
E su questo, oggi, le risposte non ci sono.
Marco Severini – direttore GiornaleSM












