Andrebbe dai 300 ai 400 milioni di euro la somma di denaro che gli stessi sammarinesi (tra cittadini e imprese) avrebbero portato all’estero a partire dal 2008.
Effetto non tanto della grande crisi economica mondiale scatenata dal fallimento della Lehman Brothers, quanto piuttosto dalla stretta avviata in quegli anni dal governo italiano e dal ministro delle Finanze Giulio Tremonti. Poi l’emorragia è continuata.
Denaro che sarebbe in gran parte depositato in banche italiane, ma anche in Svizzera e a Singapore. Una mole di soldi che, se rientrasse a San Marino, contribuirebbe ad allentare il bisogno di liquidità che sta attanagliando il Titano, ancora alle prese con una crisi economica che non permette depositi sufficienti a garantire tranquillità né al mondo finanziario, né a quello polito-governativo ogni mese alle prese con il pagamento della gigantesca macchina amministrativa.
Quello che potrebbe essere attuato sarebbe uno scudo «alla rovescia». Un’operazione di questo tipo comporta, però, una serie di problemi. Intanto un eventuale rientro di capitali comporterebbe, sul Titano, una tassazione che va dal 4 al 13 per cento, a seconda del tipo di investimento effettuato. Mentre in Italia, ad esempio, non è prevista tassazione su questi capitali essendo considerati extracomunitari.
L’altra questione riguarda la volontà politica di portare avanti questo tipo di operazione che si potrebbe attuare solo con un reale vantaggio nel far rientrare i capitali, a iniziare dall’azzeramento della tassazione.
Ma c’è un problema di non poco conto che, a nostro parere, sta alla base di tutto: come riconquistare la fiducia nel sistema da parte di cittadini e imprese. La crisi ecomica non molla ancora la presa e quella politica che ha portato allo scioglimento del Parlamento non contribuisce certo alla titanica impresa.
E intanto crescono anche i dubbi sulla tenuta finanziaria del Paese, con voci che parlano di due miliardi di crediti sul cui esito positivo c’è più di un dubbio.
In realtà, fonti del mondo finanziario, parlano di una cifra molto più bassa: da questi due miliardi (in realtà sembrano essere 1,8) andrebbero tolti circa 700 milioni di crediti che vanta la Cassa di Risparmio, poi ci sono tutta una serie di garanzie fatte di immobili e capannoni, oltre che da terzi. Situazione non certo facile, ma forse non così drammatica. Sempre che gli attori principali (sistema bancario, Banca Centrale e politica) abbiano la capacità e la volontà di trovare soluzioni.
Il Resto del Carlino