Ventiquattro anni dopo l’11 settembre 2001, il mondo si ferma ancora una volta alle 8:46 di New York – le 14:46 in Italia – l’ora in cui il volo American Airlines 11 colpì la Torre Nord del World Trade Center. È il momento in cui la memoria torna inevitabilmente al giorno che ha cambiato la storia contemporanea e che colpisce da vicino anche la comunità sammarinese: tra le 2.977 vittime c’è infatti Steven Giorgetti, figlio di emigrati dal Titano, rimasto intrappolato nelle torri durante un incontro di lavoro.
Il ricordo di Giorgetti si intreccia con la commemorazione solenne che oggi vede il presidente Donald Trump al Pentagono e il vicepresidente JD Vance a New York, a Ground Zero, accanto ai familiari e alle autorità. La vicenda personale del sammarinese diventa simbolo di come gli attentati abbiano toccato famiglie e comunità di ogni parte del mondo.
L’attacco del 2001 non segnò soltanto le vite spezzate nelle torri, al Pentagono o a Shanksville, dove il quarto aereo cadde grazie al coraggio dei passeggeri. Quelle ore ebbero conseguenze che arrivarono fino a San Marino. Le politiche globali contro il finanziamento del terrorismo portarono infatti, a distanza di pochi anni, a una stretta sul sistema economico e bancario del Titano. Le visite del Moneyval nel 2007 e nel 2008 evidenziarono lacune legislative, fino alla black list del 2010 che segnò la fine del segreto bancario e dell’anonimato societario, cardini della crescita degli anni ’90 e 2000.
Oggi, mentre l’America affronta anche nuove ferite interne, tra violenze politiche e omicidi che scuotono la vita pubblica, l’anniversario dell’11 settembre resta punto fermo di memoria collettiva. La possibilità che il governo federale assuma il controllo del Memorial & Museum di New York, attualmente gestito da una fondazione guidata da Michael Bloomberg, rafforza l’idea di un’eredità che non appartiene soltanto agli Stati Uniti, ma alla comunità internazionale nella sua interezza.
In questo contesto, il nome di Steven Giorgetti continua a essere per San Marino un segno tangibile di quanto quegli atti terroristici abbiano inciso non solo sul piano geopolitico globale, ma sulle vite concrete di singoli cittadini, trasformando il dolore personale in memoria collettiva.