La scena politica mediorientale è di nuovo in fibrillazione. A poche ore dall’atteso incontro con Donald Trump a Washington, Benyamin Netanyahu si trova in un passaggio decisivo: accogliere la road map statunitense per Gaza o lasciarsi trascinare dai ministri ultraradicali della sua coalizione, decisi a portare avanti l’annessione della Striscia e di parti della Cisgiordania, escludendo in radice ogni prospettiva di Stato palestinese. Una posizione diametralmente opposta rispetto al progetto lanciato dal presidente americano.
La tensione sul terreno
Mentre sul tavolo diplomatico si discute, sul campo continuano i combattimenti. Ieri i raid israeliani hanno provocato almeno 40 vittime, secondo fonti locali. L’esercito israeliano ha anche riferito di aver respinto un attacco con missili anticarro, in cui sarebbero stati uccisi cinque miliziani, mentre i carri armati avanzavano verso Gaza City. Da parte sua, Hamas ha segnalato la perdita di contatto con due ostaggi — il soldato Matan Angrest, 23 anni, e il fisioterapista 48enne Omri Miran — affermando che le loro vite sarebbero ora in grave pericolo e chiedendo un cessate il fuoco di 24 ore per tentare il soccorso.
La questione degli ostaggi è tornata al centro anche nella politica interna israeliana dopo che il ministro dell’ultradestra Itamar Ben Gvir ha spinto per l’approvazione in commissione parlamentare di una legge che introduce la pena di morte per i terroristi. Un provvedimento duramente contestato dal coordinatore per ostaggi e dispersi, Gal Hirsch, secondo il quale la misura rischia di complicare ulteriormente la sorte dei prigionieri. Nonostante le richieste di Netanyahu di rinviare il voto, Ben Gvir ha difeso la decisione affermando che il provvedimento fa parte integrante degli accordi di governo.
La pressione da Washington e i dubbi di Hamas
Donald Trump, a poche ore dall’incontro con il premier israeliano, ha parlato di una “enorme opportunità di grandezza in Medio Oriente”. Il suo piano, articolato in 21 punti, non è stato ancora formalizzato ma si fonda su principi chiave come il rilascio degli ostaggi, il ritiro graduale dell’Idf, un governo transitorio di tecnocrati palestinesi senza Hamas e la supervisione di un organismo internazionale sostenuto da Stati Uniti, Paesi arabi e Unione Europea.
Hamas ha però sottolineato in un comunicato ufficiale di non aver ricevuto finora alcuna proposta concreta dai mediatori, promettendo comunque di valutare ogni passo con spirito “positivo e responsabile”. Netanyahu, in un’intervista televisiva, ha mantenuto cautela spiegando che il piano è ancora in fase di lavoro e non pronto a essere approvato.
Il ruolo dei Paesi arabi
Alcuni Stati della regione, secondo indiscrezioni circolate sul network qatariota al-Arabi, avrebbero già avanzato delle modifiche sostanziali. Tra queste figura l’idea di affidare all’Autorità nazionale palestinese un ruolo di governo immediatamente dopo la fine dei combattimenti, e non al termine di un lungo percorso di riforme come invece disegnato da Washington. Viene chiesto inoltre di fissare tempi chiari e vincolanti per il ritiro israeliano dalla Striscia, un punto che nel documento americano resta vago e scandito solo con l’indicazione di un ritiro “graduale”.
Schema del piano Trump per Gaza in 21 punti
- Rilascio immediato di tutti gli ostaggi.
- Consegna dei corpi dei prigionieri deceduti.
- Cessazione delle operazioni militari israeliane dopo l’accordo.
- Ritiro graduale delle truppe dell’Idf dalla Striscia.
- Ingresso massiccio di aiuti umanitari.
- Distribuzione degli aiuti tramite ONU e Mezzaluna Rossa.
- Esclusione della Ghf dal processo di distribuzione.
- Disarmo totale di Hamas.
- Amnistia per i militanti di Hamas.
- Esilio all’estero per la leadership di Hamas.
- Esclusione di Hamas dal futuro governo della Striscia.
- Creazione di un esecutivo transitorio composto da tecnocrati palestinesi.
- Supervisione internazionale riconosciuta da Usa, Paesi arabi ed Europa.
- Permanenza del governo transitorio fino alle riforme complete dell’Anp.
- Coinvolgimento della comunità araba regionale (Qatar, Arabia Saudita, Egitto, Turchia).
- Impegno contro ogni progetto israeliano di annessione della Cisgiordania.
- Coordinamento costante con la leadership israeliana già informata del piano.
- Protezione civile della popolazione attraverso corridoi e sicurezza garantita.
- Validazione internazionale dell’accordo a livello Onu.
- Progetto per ricostruzione a lungo termine della Striscia con fondi multilaterali.
- Apertura futura di un percorso credibile verso una soluzione a due Stati, se gli step su Gaza saranno rispettati.