La Casa Bianca ha diffuso il nuovo piano di Donald Trump per Gaza, un progetto articolato in oltre venti punti che mira a mettere fine al conflitto e avviare una fase di transizione sotto la supervisione di un organismo internazionale, il Board of Peace, guidato dallo stesso Trump insieme all’ex premier britannico Tony Blair. Un piano che suscita già forti reazioni a livello politico, da Tel Aviv fino a Bruxelles.
I punti centrali del piano
Il primo obiettivo è chiaro: creare una Gaza “senza Hamas”, smilitarizzata e non più percepita come minaccia. Il cessate il fuoco scatterebbe subito dopo l’accettazione, con il ritiro delle forze israeliane entro i confini concordati e la liberazione degli ostaggi israeliani – vivi e morti – entro 72 ore.
In parallelo Israele libererebbe 250 palestinesi condannati all’ergastolo e 1.700 detenuti arrestati dopo il 7 ottobre. È previsto anche un meccanismo “di scambio simbolico”: per ogni ostaggio israeliano deceduto restituito, Tel Aviv consegnerebbe le spoglie di 15 cittadini di Gaza.
Hamas dovrebbe deporre le armi. Ai miliziani verrebbe concessa amnistia se si impegnassero alla coesistenza pacifica, oppure corridoi sicuri verso l’esilio per chi scegliesse di lasciare la Striscia.
Sul piano umanitario, il documento sancisce l’ingresso immediato e senza ostacoli di aiuti internazionali coordinati da ONU, Mezzaluna Rossa e ONG non legate né a Israele né a Hamas, con la riapertura del valico di Rafah.
Il capitolo politico prevede la creazione di un governo tecnico palestinese “apolitico e tecnocratico” sotto controllo del Board of Peace. Questo organismo internazionale guidato da Trump e Blair avrà il compito di gestire la transizione.
In campo economico, il piano parla di una “zona speciale” con tariffe preferenziali per favorire gli investimenti, insieme a piani di sviluppo urbano ispirati ai modelli di alcune città del Golfo. Nelle parole del team Trump, un’occasione per trasformare Gaza in un polo economico moderno.
Infine, alcuni paragrafi guardano a una prospettiva politica di lungo termine: niente annessione israeliana della Striscia, una Forza internazionale di Stabilizzazione (ISF) per addestrare le future forze palestinesi, e – solo in prospettiva, dopo le riforme dell’Autorità Palestinese e la “riqualificazione di Gaza” – un percorso verso l’autodeterminazione palestinese.
Netanyahu: “Idf resterà a Gaza, no a Stato palestinese”
Il primo a ridimensionare l’ottimismo è stato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Pur avendo incontrato Trump alla Casa Bianca, Netanyahu ha ribadito che l’esercito israeliano “resterà nella maggior parte della Striscia” e che non ha mai dato il proprio consenso alla nascita di uno Stato palestinese, ipotesi ventilata negli ultimi paragrafi del piano.
Smotrich: “Un miscuglio indigesto”
Durissimo anche il commento del ministro delle Finanze e leader della destra radicale Bezalel Smotrich, che ha bollato la proposta come “un clamoroso fallimento diplomatico per Israele”. In un post su X ha affermato che il testo ignora le lezioni del 7 ottobre 2023 e che, con queste concessioni, “i nostri figli saranno costretti a combattere di nuovo a Gaza”.
Bruxelles: “Bene Trump, serve la soluzione dei due Stati”
Di segno opposto la reazione europea. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha accolto con favore il piano, definendolo “un’opportunità da cogliere”. L’UE si dice pronta a contribuire sia agli aiuti umanitari che alle fasi di stabilizzazione, ribadendo tuttavia che l’unica pace duratura passa per la formula dei due Stati, con Israele e Palestina fianco a fianco in condizioni di sicurezza.
Tra speranze e ostacoli
La popolazione israeliana, a due anni di conflitto, ha mostrato segnali di prudente ottimismo e desiderio di tregua. Resta però evidente la contraddizione tra l’entusiasmo diplomatico di Washington e Bruxelles e la linea dura di gran parte della leadership israeliana.
In sintesi, il piano Trump-Blair traccia un percorso ambizioso: cessate il fuoco immediato, ostaggi liberi in 72 ore, disarmo di Hamas e sviluppo economico internazionale. Ma tra i veti di Netanyahu, le critiche radicali di Smotrich e le differenti priorità dei partner regionali, la strada per una “Nuova Gaza” pacificata appare in salita.