L’udienza di ieri del processo detto giornalisticamente ”bilancio farlocco 2016 di Cassa di Risparmio con la perdita dei -534 milioni” si è chiusa con due novità: la nomina di un nuovo perito e la deposizione di Domenico Trombone, presidente di SGCD (Società Gestione Crediti Delta S.p.A., una società con sede a Bologna fondata nel 2011 per gestire i crediti deteriorati (non-performing loans o NPL) derivanti dal Gruppo Delta) all’epoca della cessione del pacchetto Delta a Cerberus.
Chi è Domenico Trombone?
Domenico Livio Trombone (nato a Potenza nel 1960, dottore commercialista e revisore contabile) è stato presidente della SGCD, coordinando varie attività legate alla gestione e alla vendita dei crediti DELTA inclusi progetti come Arkade. Attualmente, Trombone è impegnato anche in altri ruoli, come liquidatore in contesti correlati e presidente di Coop Alleanza 3.0, ma il suo legame con SGCD è principalmente noto per la presidenza in operazioni finanziarie a San Marino.
Torniamo all’udienza del processo di ieri, ove i passaggi formali, per quanto rilevanti, restano secondari rispetto alle implicazioni politiche e finanziarie che emergono ormai con chiarezza: il progetto che portò alla svendita dei crediti Delta fu malato alle radici, e quelle radici affondano nel bilancio monstre da -534 milioni del 2016, giornalisticamente detto ”farlocco”.
Il quadro che emerge è lineare. SGCD, guidata da Trombone, rappresentava non solo Cassa di Risparmio ma circa 90 banche italiane creditrici che, complessivamente, detenevano il 50% del debito Delta. L’altro 50% era in capo a Cassa da sola (50,3% per crediti Carifin Italia, 48% per plusvalore e circa 70% per Detto Factor. La media è circa 50%. ndr).
In altre parole, Cassa aveva interessi totalmente diversi dalle altre: queste ultime avevano piccoli importi da liberare e volevano togliersi di dosso la “sofferenza Delta”; Cassa, invece, con metà del credito in mano, avrebbe dovuto difendere fino in fondo il valore di quella partecipazione.
La decisione di votare a favore della cessione, dunque, è stata sbagliata e dannosa per Cassa. Non solo perché i ricavi futuri dal recupero furono sacrificati, ma perché quell’atto arrivò dopo un percorso preparato con la megaperdita del 2016, funzionale a creare l’alibi contabile per dire che la vendita fosse “conveniente”.
Non a caso, anche Banca d’Italia spingeva le banche italiane a liberarsi di Delta per alleggerire i loro bilanci. La cessione a Cerberus, quindi, fu un’operazione utile soprattutto a loro. Per Cassa, al contrario, ha significato perdere la possibilità di gestire direttamente crediti che, pur difficili, avevano ancora margini di recupero.
Il coinvolgimento di Banca Centrale di San Marino e della Commissione Finanze servì da parafulmine: il CdA di Cassa che firmò l’atto di cessione si ritrovò coperto da scelte che erano già state orientate altrove. Ma la verità è che tutto partì dal bilancio 2016, quella perdita monstre che ribaltò la narrazione e aprì la strada a una decisione che rimane, ancora oggi, il punto più controverso di tutta la vicenda.
Trombone, ascoltato ieri, è apparso più ostile agli imputati che a Cassa stessa. Non ha nascosto i costi di gestione del gruppo Delta, i dipendenti e le società operative potevano pesare anche per il 30% , ma ha omesso un dettaglio chiave: una volta ceduti i crediti, quei costi cessavano, perché le società SGCD comprese sono state poste in liquidazione. È un punto che dimostra quanto il calcolo presentato allora fosse parziale e strumentale.
Sul fronte fiscale, Trombone ha riferito che sono stati recuperati complessivamente 14 milioni, ma che restano in piedi azioni per tentare di riottenere 60,4 milioni alla luce della recente archiviazione di Forlì. Un terreno ancora incerto, ma che conferma che non tutto era perduto.
Infine, il giudice Valentini ha nominato come nuovo perito Monica Leardini, presidente dell’Ordine dei Commercialisti sammarinesi, affidandole tre quesiti. Due sono stati rivisti su richiesta della parte civile Carisp patrocinata dall’avvocato sammarinese Emanuele Nicolini, mentre il terzo, anch’esso sollecitato dalla banca, riguarda espressamente l’impatto della valutazione dei crediti Delta e della successiva vendita a Cerberus sulla situazione economica e patrimoniale di Cassa.
Il punto politico-giudiziario resta fermo: il progetto della cessione non nacque nel 2017, ma nel 2016, con la costruzione di un bilancio emergenziale che servì a predisporre il terreno. Senza quella perdita da -534 milioni, l’operazione non sarebbe stata giustificabile. Ecco perché ieri, più che sulla forma della perizia o sulla memoria di Trombone, l’attenzione è tornata al cuore della vicenda: il bilancio che segnò il destino di Cassa di Risparmio