San Marino. Associazione UE. La verità su quello che successo ieri ed il flop della visita di Sepcovic … di Marco Severini, direttore GiornaleSM

Tutti si aspettavano l’annuncio della grande data: il giorno della firma del famigerato Accordo di Associazione con l’Unione Europea.

Invece, davanti al Consiglio Grande e Generale, il Commissario europeo Maros Sefovic ha tirato fuori appena due fogli, li ha letti in inglese, una lingua che molti presenti hanno capito poco o nulla, e ha liquidato la questione con un vago “l’accordo si chiuderà nel 2026”.

Una cerimonia dimessa, quasi imbarazzata, che ha lasciato più dubbi che certezze. Mentre il Segretario Beccari continua a dipingere l’ingresso di San Marino nel “mondo dorato” europeo, la realtà è molto diversa.

La verità, che nessuno ha avuto il coraggio di dire ieri, è che l’Accordo di Associazione rischia di non decollare mai.
Prima si è sfilato il Liechtenstein, poi Monaco ha preso le distanze, e ora anche Andorra dovrà passare per un referendum popolare che si annuncia tutt’altro che favorevole. Resta solo San Marino, con il cerino in mano, unica a spingere per la firma di un accordo che non vuole quasi nessuno e neppure l’Europa.

E c’è un dettaglio che pesa più di tutti: non è affatto scontato che sia l’Europa a volere davvero questo accordo. Nemmeno l’Italia sembra particolarmente entusiasta, nonostante l’addendum che nessuno conosce e che sembra avergli regalato la vigilanza bancaria e finanziaria, perché vorrebbe di più!
Beccari ha sorvolato, Sefcovic ha glissato, ma la sostanza è questa: a Bruxelles si parla sempre più di “formula mista”. Che cosa significa? Significa che l’accordo non sarà ratificato solo dalle istituzioni europee, ma dovrà passare davanti ai parlamenti dei 27 Paesi membri. Uno per uno.

È questa la verità che traspare tra le righe delle “due paginette” lette in fretta e furia a Palazzo Pubblico. Altro che grandi proclami: San Marino è rimasta sola, con il cerino in mano, mentre l’Europa prende tempo

Ora, immaginiamolo in concreto. Ogni parlamento nazionale dovrà discutere il testo, esaminarlo in commissione, votarlo in aula. Qualcuno potrebbe chiedere modifiche, qualcun altro rallentare la procedura, altri addirittura bocciarlo. È già successo in passato con trattati internazionali ben più rilevanti. Tradotto: i tempi rischiano di dilatarsi per anni e l’accordo naufragare. Poi a San Marino la questione referendum (e non solo) non è affatto chiusa! Altro che 2026.

Ecco perché la cerimonia di ieri è stata così spenta. Šefcovic ha letto due paginette con poca convinzione, buttando lì una data che nemmeno lui sembra credere possibile. Nessun entusiasmo, nessuna promessa concreta. Perché a Bruxelles, oggi, le priorità sono ben altre: guerre, crisi energetiche, allargamenti molto più pesanti. San Marino, con i suoi 34.000 abitanti, è finita in fondo alla lista.

Il vero paradosso è che, mentre negli altri Paesi interessati all’Accordo di Associazione la popolazione avrà comunque l’ultima parola attraverso un referendum, e già oggi i segnali sono di forte scetticismo, se non di aperta contrarietà, qui da noi si procede in tutt’altra maniera. A San Marino si decide nelle stanze chiuse, senza un reale confronto pubblico e, soprattutto, senza dare ai cittadini la possibilità di esprimersi direttamente. È una scelta pesante, perché riguarda il futuro della Repubblica e inciderà sulla nostra sovranità, eppure il percorso viene portato avanti in silenzio, firmando documenti come l’addendum di cui pochissimi conoscono davvero i contenuti.

Il rischio è quello di ritrovarsi isolati: un piccolo Stato che, per calcoli politici, finisce per essere l’unico a firmare un accordo che altri, più grandi e con maggiori tutele, hanno deciso di abbandonare o di sottoporre al giudizio popolare. Restare soli con la penna in mano mentre gli altri si sfilano sarebbe una sconfitta non solo diplomatica, ma anche politica interna.

E qui si apre la questione più delicata: chi pagherà il prezzo di questa scelta? La responsabilità ricadrà inevitabilmente sulla Democrazia Cristiana, che ha fatto dell’accordo europeo un obiettivo strategico e che, attraverso il Segretario Beccari, ha portato avanti la trattativa. Ma se l’esito dovesse rivelarsi impopolare o addirittura dannoso, come pare essere, sarà proprio la Dc a ritrovarsi esposta in prima linea, senza vie di fuga.

Lo scenario non è difficile da immaginare: un’opinione pubblica scontenta e tumultuosa, un’opposizione pronta a cavalcare il malumore, e una Dc isolata, costretta a difendere una firma che nessun altro voleva realmente. In quel caso, la conseguenza più concreta sarebbe un tracollo politico, con la Democrazia Cristiana relegata all’opposizione, abbandonata persino da parte di quei piccoli cespugli che oggi la sostengono e che non vedono l’ora di trovarsi un altro padrone a cui obbedire.

Sarebbe la prova che un errore di valutazione strategica, firmato Beccari, può trasformarsi in un boomerang capace di mettere in discussione l’egemonia politica del partito che da decenni governa il Paese e che a parole doveva contrastare la Cricca.

Marco Severini – direttore GiornaleSM