L’intercettazione in mare della Global Sumud Flotilla da parte della Marina israeliana ha acceso non solo la scena diplomatica internazionale, ma anche le piazze italiane. Mentre Tel Aviv conferma che i passeggeri – compresi i 22 italiani, tra cui il senatore Marco Croatti e l’europarlamentare Benedetta Scuderi – sono in buone condizioni e verranno rimpatriati nei prossimi giorni, in Italia monta la protesta. Cortei, occupazioni e blocchi hanno scandito la giornata di ieri e la tensione non accenna a diminuire: per domani, venerdì 3 ottobre, i sindacati Cgil e Usb hanno proclamato uno sciopero generale nazionale. Una scelta che, tuttavia, solleva più di una perplessità.
Proteste e blocchi da Napoli a Torino
Già ieri le mobilitazioni hanno creato non pochi disagi: a Napoli l’occupazione dei binari della Stazione Centrale ha paralizzato il traffico ferroviario, mentre a Milano, Roma, Bologna, Firenze e in molte altre città si sono svolte manifestazioni e cortei studenteschi. A Genova gli attivisti hanno bloccato caselli e accessi portuali, mentre nei campus universitari di Torino e Roma si sono moltiplicate occupazioni di facoltà. L’ondata di proteste è alimentata dal racconto degli stessi attivisti della Flotilla, che parlano di abbordaggi violenti e di “atto di pirateria in acque internazionali”.
Sciopero generale, un segnale o un cortocircuito?
La Cgil e l’Usb difendono la decisione di incrociare le braccia, parlando di un “crimine gravissimo” e di “attacco al diritto internazionale” e avvertendo che “è arrivato il momento di bloccare tutto”. Anche la Fiom si è accodata, spingendo per uno stop che, nelle intenzioni, vuole essere segnale di solidarietà internazionale. Ma resta il dubbio se uno sciopero che mette in pausa lavoratori e servizi pubblici italiani sia lo strumento più efficace per protestare contro un’azione militare avvenuta a migliaia di chilometri di distanza. Il messaggio rischia di colpire più i pendolari e i cittadini, che ancora una volta pagheranno in prima persona, che non la politica estera del governo israeliano.
La linea del governo: fermezza e timori di caos
Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha immediatamente replicato, definendo l’agitazione “uno sciopero improvvisato che non rientra nei casi di legittima urgenza” e confermando che la Commissione di Garanzia condivide questa impostazione. “Non permetteremo che Cgil ed estremisti di sinistra portino il caos in Italia”, ha ribadito Salvini, ventilando la possibilità di precettare i settori coinvolti. Anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha attivato una cabina di regia con prefetti e questori nelle città più calde per monitorare la piazza e prevenire disordini.
Diplomazia al lavoro
Sul fronte internazionale, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha assicurato che gli italiani a bordo della Flotilla sono assistiti dai consolati e che i primi rientri volontari avverranno già da venerdì. “Sono in buone condizioni, nessun atto di violenza è stato segnalato”, ha riferito, confermando che chi non accetterà l’espulsione immediata resterà in Israele per le 48-72 ore necessarie al provvedimento di respingimento.
Mobilitazione e polemica politica
Domani dunque le piazze e i luoghi di lavoro misureranno la forza di questa protesta, che mescola solidarietà alla causa palestinese, rivendicazioni dei movimenti studenteschi e parole d’ordine radicali. Ma resta il nodo politico: la causa è internazionale, gli strumenti scelti sono locali e colpiscono i cittadini italiani. Una combinazione che rischia di trasformare un gesto di solidarietà in una prova di muscolarità ideologica, più utile a esacerbare lo scontro interno che a incidere realmente sugli equilibri mediorientali.
In attesa che il destino degli attivisti italiani venga risolto nei prossimi giorni, in Italia si prepara l’ennesima giornata di tensione tra piazze, scuole e binari ferroviari, con la certezza che a pagarne le conseguenze immediate saranno pendolari e viaggiatori, mentre sullo sfondo rimane intatta la crisi in Medio Oriente.