Durante i mesi più difficili della pandemia, quando per accedere a locali ed eventi era indispensabile esibire il Green pass, qualcuno trovò il modo di aggirare le regole approfittando delle paure e divisioni di quei giorni. A distanza di anni, quella vicenda approda ora davanti alla giustizia.
Secondo la ricostruzione della Procura di Rimini, un 23enne originario di Riccione, con l’aiuto della sorella, avrebbe organizzato una vera e propria stamperia clandestina di certificati falsi. I documenti riproducevano in modo fedele la carta intestata di un poliambulatorio privato modenese, simulando l’esito negativo di tamponi mai svolti. I certificati sarebbero stati compilati di volta in volta con i dati personali degli acquirenti.
Il sistema, diffuso tra le chat dei giovani e persino pubblicizzato sui social, in particolare su Instagram, sarebbe stato utilizzato da sei ragazzi tra i 22 e i 30 anni residenti tra Rimini e Riccione. Ognuno di loro avrebbe acquistato la falsa certificazione a dieci euro. Le indagini dei carabinieri hanno portato al sequestro dei cellulari degli indagati: tra le conversazioni sono emersi messaggi di conferma e ringraziamenti rivolti all’organizzatore dell’escamotage.
La Procura ha chiesto ora il rinvio a giudizio dei sei con l’accusa di falsità materiale in concorso. Due degli indagati hanno dichiarato di non essere a conoscenza della natura fraudolenta dei certificati ricevuti e di non averli mai utilizzati, scegliendo per questo di affrontare il rito abbreviato. L’udienza predibattimentale è fissata per il prossimo 2 dicembre davanti al tribunale monocratico di Rimini.
La vicenda dei falsi Green pass, emblematica di un periodo segnato da tensioni e divisioni, resta oggi al centro dell’attenzione giudiziaria e ricorda quanto la pandemia abbia generato anche zone d’ombra e truffe destinate a lasciare una lunga scia nelle aule dei tribunali.