Dopo settimane di tensioni, due scioperi generali molto partecipati e un clima politico incandescente, la Commissione Finanze ha approvato ieri con 10 voti favorevoli e 4 contrari il progetto di legge di riforma dell’Imposta Generale sui Redditi (IGR). Un passaggio cruciale che conferma la frattura netta tra maggioranza e opposizione, in vista della seconda lettura in Consiglio Grande e Generale prevista per fine mese.
L’articolato, arrivato in Commissione nella sua versione finale, introduce tra le principali novità l’aumento temporaneo dal 17% al 18% dell’aliquota ordinaria per gli operatori economici fino al 2030, un gettito stimato in circa 5 milioni di euro che, come ha spiegato il Segretario di Stato alle Finanze Marco Gatti, sarà “vincolato a riduzione del debito e investimenti infrastrutturali“.
Gatti ha sottolineato che il provvedimento resta “un progetto parziale“, aperto a possibili emendamenti prima dell’approdo in aula, e ha ricordato che “alcune norme transitorie e deleghe sono nate dal confronto con i sindacati, per armonizzare misure come il reddito minimo o gli adeguamenti al costo della vita“.
La discussione si è concentrata proprio sulle deleghe al Congresso di Stato per l’emanazione di decreti delegati di coordinamento: un punto che ha innescato le proteste più dure dell’opposizione, che ha parlato di “delega in bianco” e di “rischio di stravolgimento” della normativa.
Emanuele Santi (Rete) ha definito l’articolo chiave della riforma “peggiore della prima stesura” e ha accusato il governo. Nicola Renzi (Repubblica Futura) ha parlato di un testo “scritto con mano approssimativa” e di “un provvedimento che lascia troppo spazio discrezionale al Congresso di Stato“. Gaetano Troina (Domani – Motus Liberi) ha denunciato “una riforma che confonde le annualità e delega al governo il potere di modificare norme su interi settori economici“.
Dalla maggioranza sono arrivate repliche ferme. Gian Nicola Berti (Alleanza Riformista) ha ricordato che “le disposizioni transitorie valgono anche per il 2024–2026” e che “l’obiettivo è allargare la base imponibile e raggiungere una maggiore equità fiscale“. Sandra Stacchini (Pdcs) ha chiarito che “la delega tecnica serve esclusivamente per piccoli aggiustamenti” e che “alcune parti sono state richieste dagli stessi sindacati per armonizzare misure sociali“.
Nelle dichiarazioni finali, Tomaso Rossini (Psd) ha definito l’approvazione “un atto di responsabilità imposto dalle necessità economiche del Paese e dalle richieste del Fondo Monetario e delle agenzie di rating“, aggiungendo che “senza la riforma, il rinnovo del debito costerebbe di più“. William Casali (Pdcs) ha evidenziato gli aspetti sociali: “La riforma introduce equità e tutela delle fasce deboli, insieme a controlli automatici per contrastare l’evasione“.
Diversa la lettura dell’opposizione, secondo cui la norma “premia i redditi alti e penalizza lavoratori e pensionati“. Renzi (RF) ha accusato il governo di “governare contro il Paese” ignorando “i segnali inequivocabili venuti dalle piazze e dagli scioperi“.
Anche Santi (Rete) ha rincarato: “Avete votato una riforma calata dall’alto, che aumenta le tasse ai dipendenti e ai frontalieri e riduce quelle ai redditi più alti. È una legge iniqua che premia i furbi“.
Più cauto Iro Belluzzi (Libera), che pur sostenendo la legge ha parlato della necessità di “trovare un equilibrio più ampio” e ha invitato maggioranza, sindacati e categorie economiche a “continuare il confronto per scongiurare un nuovo sciopero generale e arrivare a un testo pacificatore per il Paese“.
Alla fine dei lavori, il clima resta carico di tensione. Mentre la maggioranza rivendica di aver agito per “senso di responsabilità e stabilità finanziaria“, le opposizioni annunciano battaglia in vista della seconda lettura. Intanto, il paese attende di capire se le proteste di piazza dei giorni scorsi avranno ancora voce nel percorso della riforma più controversa della legislatura…