San Marino. Articolo del Sole24 Ore sul Segretario Beccari e sull’Accordo Associazione UE. Le tante cose omesse … di Marco Severini (quarta parte) – Per ogni euro guadagnato, ne spenderemo due

Un accordo che rischia di costare più di quanto possa rendere

Mentre il Segretario Beccari continua a descrivere l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea come un passo “strategico” e “storico”, la realtà economica che si delinea è molto diversa: i costi saranno altissimi, i vantaggi quasi inesistenti.

Dietro lo slogan “più Europa, più opportunità”, si nasconde un meccanismo di adeguamento normativo e fiscale che rischia di soffocare le imprese sammarinesi sotto una montagna di nuovi obblighi, regolamenti e controlli.
Ogni settore – dall’industria ai servizi, dal commercio alla finanza – sarà costretto a ristrutturarsi per rispettare regole pensate per economie da centinaia di milioni di abitanti, non per un microstato di 33.000 persone.

Il risultato sarà inevitabile: più burocrazia, più costi di gestione, meno competitività.

Segretario di Stato Luca Beccari

Un impatto devastante sulle piccole e medie imprese

San Marino è un Paese fondato sul lavoro delle PMI: oltre l’80% delle aziende ha meno di 10 dipendenti. Sono realtà che sopravvivono grazie alla flessibilità, all’assenza di vincoli e alla rapidità decisionale.
Con l’entrata in vigore dell’Accordo di Associazione, queste imprese dovranno invece affrontare:

  • standard europei di produzione e di certificazione spesso inutili per il mercato locale;

  • nuove regole doganali e ambientali con costi aggiuntivi per consulenze, adeguamenti e controlli;

  • obblighi contabili e fiscali armonizzati che elimineranno i margini di flessibilità oggi garantiti dal sistema sammarinese;

  • competizione diretta con aziende europee che beneficiano di economie di scala e finanziamenti pubblici inarrivabili per noi.

In questo scenario, le nostre imprese non potranno reggere. Molte saranno costrette a chiudere o a ridimensionarsi drasticamente.
Non è pessimismo: è aritmetica economica.
Quando un’azienda di tre persone si trova a competere con un colosso da tremila, non serve un economista per capire chi vince.

Occupazione a rischio e ricadute sociali

Ogni chiusura aziendale significa posti di lavoro persi, famiglie in difficoltà, minori entrate fiscali per lo Stato e maggiore disoccupazione.
In un sistema piccolo come il nostro, anche venti o trenta aziende che chiudono possono creare uno shock economico di vasta portata.

L’effetto domino sarà rapido:

  • calo dei consumi interni,

  • contrazione della domanda,

  • fuga dei giovani più qualificati all’estero,

  • aumento della precarietà e del lavoro stagionale.

L’accordo, che viene presentato come strumento di modernizzazione, rischia di diventare un acceleratore di declino economico e sociale.

Il peso della burocrazia e dell’apparato pubblico

Un’altra questione che il governo finge di ignorare è l’impatto sul settore pubblico.
Per recepire le direttive europee, serviranno nuovi uffici, consulenti, traduttori, controllori, ispettori e una burocrazia permanente di supporto.
In un Paese dove già oggi la macchina amministrativa è sovradimensionata rispetto alla popolazione, questo significherà ulteriori spese correnti e un aumento inevitabile della pressione fiscale per coprire i costi dell’allineamento.

E mentre le imprese chiuderanno per mancanza di competitività, lo Stato si troverà costretto a tassare sempre di più chi rimane in piedi. È un circolo vizioso: più Europa, meno libertà, meno lavoro, più tasse.

L’illusione del progresso e la realtà dei numeri

Secondo alcune stime indipendenti, il valore complessivo dei potenziali benefici commerciali derivanti dall’accordo non supererebbe il 2-3% del PIL annuo, mentre i costi diretti e indiretti di adeguamento normativo potrebbero superare, nel medio periodo, il 5-6% del PIL.
Tradotto: per ogni euro guadagnato, ne spenderemo due.

Ecco perché parlare di “opportunità storica” è quantomeno offensivo verso chi ogni giorno manda avanti un’impresa, paga stipendi, combatte contro i costi dell’energia e la concorrenza globale.
Questa non è un’integrazione virtuosa: è una cessione economica mascherata da progresso.

Un errore che si paga caro

L’Accordo di Associazione UE non è un piano di sviluppo, ma un trattato di resa economica.
Con la scusa della competitività, si stanno gettando le basi per la deindustrializzazione di San Marino e la perdita del controllo sulle leve economiche interne.
Una volta firmato, non si tornerà indietro: ogni legge, ogni norma, ogni direttiva europea diventerà obbligatoria, e nessuna potrà essere rifiutata senza mettere a rischio l’intero accordo.

Siamo ancora in tempo per fermarci, riflettere e pretendere chiarezza.
Perché un Paese piccolo come il nostro non può permettersi di sbagliare direzione: una scelta sbagliata, per noi, non si corregge, si paga per sempre.

Marco Severinidirettore GiornaleSM

La terza parte

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