Il 30 ottobre 1995 ci lasciava Cesare Mambelli: la sua famiglia perdeva un affetto carissimo, la cooperazione un dirigente di assoluta qualità e il PRI una luce che avrebbe contribuito ad illuminare i repubblicani nei travagli politici degli anni successivi.
A trent’anni dalla sua scomparsa, la sua figura resta luminosa nella memoria repubblicana e cooperativa, non solo di Ravenna, ma anche a livello regionale e nazionale. Uomo di indubbio spessore umano e di profondo rigore morale, seppe essere politico senza faziosità, cooperatore senza tornaconto, repubblicano senza compromessi. Un esempio raro, che ancora oggi ci interroga e ci ispira.
Fu Direttore di ACMAR, la più importante cooperativa di produzione e lavoro dell’AGCI, contribuendo a radicare la cooperazione nel tessuto economico e sociale della città con visione, sobrietà e spirito comunitario. Con lui la cooperazione non fu mai autoreferenziale, ma divenne strumento di crescita condivisa e di responsabilità sociale.
I suoi punti di riferimento furono sempre due: il PRI, di cui fu segretario politico comunale, e l’AGCI, di cui fu vicepresidente nazionale. Tuttavia, il suo amore più grande fu per ACMAR, che diresse con grande competenza, onestà, saggezza e pragmatismo.
Il suo essere geometra lo era nel senso pieno del termine, uomo abituato a dare forma concreta alle idee. Fu un vero geometra di campagna, non nel senso anagrafico ma in quello operativo, capace di affrontare i problemi direttamente sul campo, nel cantiere. A lui deve molto anche l’AGCI che, se oggi è ancora viva e vitale, lo deve anche all’opera che seppe svolgere proprio Cesare Mambelli.
Mambelli era un uomo di strategia, capace di vedere oltre il velo del momento. Seppe tessere rapporti fra mondi repubblicani talvolta conflittuali, interpretando con intelligenza i legami fra economia e politica, nella convinzione, tutta lamalfiana, che lo sviluppo di una comunità nasca dall’equilibrio tra libertà, responsabilità e solidarietà.
Luciano Zignani, già presidente nazionale dell’AGCI, lo definiva con affetto e ammirazione “un borghese romantico e sensibile, riservato e prudente ma risoluto nell’azione”. Io aggiungo che fu un borghese illuminato ma con l’animo di un uomo del popolo e, per questo, un grande dirigente di lavoratori perché profondo conoscitore del lavoro più duro, che aveva provato sulla propria pelle.
Seppe vivere tutta la sua vita fra tradizione e innovazione, con la coerenza dei vecchi mazziniani e lo sguardo dritto al futuro dei nuovi grandi del suo tempo. La sua opera fu sempre orientata a garantire il futuro del Partito Repubblicano Italiano e del Movimento Cooperativo Repubblicano, per il bene della sua comunità, dei repubblicani e dei soci-lavoratori.
Nella sua lunga militanza nel PRI fu segretario comunale, consigliere comunale e assessore, sempre animato da garbo, riservatezza e fermezza di principi. Uomo di equilibrio, sapeva tenere insieme le differenze, ricucire le fratture, interpretare con sensibilità gli umori della base. Senza proclami, ma con operosa dedizione.
Ricordo bene come il rispetto nei suoi confronti fosse naturale e non imposto. Anche i più giovani, naturalmente portati al pronome confidenziale, gli si rivolgevano con il “lei”. Tra questi anch’io, allora giovane consigliere di circoscrizione, membro delle direzioni provinciale e comunale e segretario della Sezione Mazzini di Castiglione, che all’epoca contava 120 iscritti, gli davo del “lei”. Non per distanza o timore, ma per stima profonda e sincero riconoscimento della sua autorevolezza morale.
Negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, quando la politica era dominata dalla forza dei grandi partiti di massa, come il PCI, la DC e il PSI di Craxi, spesso inclini alla retorica e all’autoreferenzialità, Mambelli seppe distinguersi per misura e sostanza. Fu un vero uomo di contenuti e di visione: mai sopra le righe, ma sempre incisivo; mai urlato, ma sempre ascoltato.
La sua scomparsa avvenne in un momento cruciale, quando il PRI, motore di Alleanza per Ravenna, aveva portato al ballottaggio il neonato Partito Democratico della Sinistra, erede del PCI travolto dalle macerie del Muro di Berlino.
Mambelli fu testimone e attore di quella stagione e oggi, ne sono certo, sarebbe contento di vedere l’Edera ancora protagonista a Ravenna, coerente nella sua vocazione riformista e autonomista, e ACMAR in piedi, viva e resiliente come la città a cui ha dato tanto.
In un’epoca come la nostra, in cui la politica appare spesso povera di cultura e di visione, la figura di Cesare Mambelli ci ricorda che si può servire la comunità con sobrietà, competenza e ideali saldi.
Viviamo in un tempo in cui il confronto pubblico è travolto dalla superficialità e dalla violenza verbale dei social, divenuti moltiplicatori di un’ignoranza orgogliosamente esibita e urlata. In questo scenario stride ancor più la distanza con la sobria consapevolezza di uomini come Mambelli, che facevano della misura, della riflessione e della competenza il loro stile di vita e di impegno.
Forse sarebbe disorientato davanti alla barbarie comunicativa e al discredito delle istituzioni, ma saprebbe comunque ritrovare la via del confronto, del progetto e della ricostruzione, come ha sempre fatto.
In questo anniversario, nel suo ricordo, mi piace concludere con una citazione di Ugo La Malfa, che ben lo rappresenta: “La politica non è conquista del potere, ma esercizio di responsabilità.” E Mambelli la responsabilità l’ha esercitata tutta, con coerenza, dignità e amore per la sua città, per la sua Edera, per la sua ACMAR.
Eugenio Fusignani
Segretario regionale PRI Emilia-Romagna













