A volte, nel gran teatro della politica che sempre più somiglia a un’opera dei pupi recitata con troppa foga, accade un piccolo miracolo laico. Non è l’apparizione di un santo, né la moltiplicazione dei pani e dei pesci nel bilancio dello Stato, da “scarabocchiare” con la penna rossa affidata al sindacato. È qualcosa di più raro e prezioso… E’ l’irrompere della Ragione.

Ieri, in Consiglio Grande e Generale, abbiamo assistito a questo piccolo, grande evento. Il consigliere William Casali, con un intervento che non cercava l’applauso facile della piazza urlante – dove anzi rischia (metaforicamente s’intende) il linciaggio – ma l’approdo sicuro nel porto del buon senso, ha invitato i “Sessanta” a fermarsi. A pensare. A riconsiderare l’onorificenza proposta in un recente odg approvato dall’Aula per la portavoce ONU Francesca Albanese. Un atto di coraggio, sì, ma prima ancora un atto di intelligenza politica, di lungimiranza di cui si sentiva un disperato bisogno.
Perché, diciamocelo senza girarci attorno come comari al mercato, assegnare oggi la Gran Croce dell’Ordine di Sant’Agata a una figura come la Dottoressa Albanese sarebbe una follia. Non un errore, non una svista, ma una premeditata, irrazionale follia. Sarebbe, viste le “scintille” che circolano da tempo, come premiare un piromane per i suoi meriti nella lotta agli incendi. Parliamo, infatti, di una funzionaria il cui mandato richiederebbe l’equilibrio di un funambolo e la neutralità di un arbitro e che, invece, sembra si muova nell’arena internazionale con la grazia di un elefante in una cristalleria… Ma non solo, apparentemente non sembra farsi mancare neppure la partigianeria di un ultrà in curva.
La faccenda non è un’opinione, è cronaca. È la cronaca di chi, anni fa, scivolò sul più classico e logoro degli stereotipi antisemiti, quello della “lobby ebraica” che tiene in pugno il mondo, una frase che puzza di vecchio e che nemmeno il più tardivo e formale dei pentimenti può del tutto deodorare. È la cronaca di chi, all’indomani del 7 ottobre, mentre ancora si contavano i corpi di donne, ragazze, anziani e bambini straziati, invece del silenzio del cordoglio o della condanna senza appello, ha sentito l’urgenza di “contestualizzare” l’orrore, di annacquare il veleno in una brodaglia di giustificazioni storiche che, a orecchie non ideologizzate come le mie, già suonava come una terribile “assoluzione”, comprensione di quell’azione terroristica e orripilante.
Ed è la cronaca recente, quella di casa nostra, di una Relatrice che, invitata in Italia, si trasforma in un ariete. Prima, anno 2024 a Ferrara, attacca un sindaco di provincia per aver usato la parola “civili” in una mozione, vedendoci chissà quale legittimazione a rapire soldati, come a non voler distinguere tra diritto e morale. Poi, a Reggio Emilia, umilia pubblicamente il primo cittadino che l’ha appena introdotta, bollando come una “trappola pericolosa” l’unico piano di pace sul tavolo, quello promosso dagli Stati Uniti e sostenuto da mezzo mondo, che fra l’altro prevedeva – e ciò non è sembrato piacere né alla funzionaria ONU né alla platea – la liberazione degli ostaggi israeliani. A casa mia, e credo anche sul Titano, non si sputa nel piatto in cui si mangia, specie se quel piatto è un tentativo di dialogo finalizzato ad una pace quanto mai difficile da raggiungere.
Insomma, San Marino, la terra della mediazione, la Repubblica che ha fatto della neutralità la sua armatura e il suo scudo, dovrebbe davvero appuntare la sua più alta onorificenza sul petto di chi sembra usare il proprio ruolo per dividere, per polarizzare, per trasformare ogni dibattito in uno scontro? La risposta dovrebbe essere ovvia. E il fatto che William Casali abbia dovuto ricordarlo in aula la dice lunga sulla nebbia che ha avvolto il Palazzo.
Quella stessa nebbia che, poche settimane fa, ha portato all’approvazione unanime del riconoscimento dello Stato di Palestina. Una decisione che, presa con quella tempistica e con quella modalità, ho già definito un tradimento della storia di pace, democrazia e neutralità sammarinese (leggi qui e qui). Credevo, onestamente, che in Consiglio non ci fosse più una voce capace di distinguere tra la giusta solidarietà a un popolo sofferente e l’inopportuno schieramento che fa perdere la faccia e il ruolo. L’intervento di oggi mi smentisce, e ne sono felice. Un barlume di speranza è ormai luce in fondo al classico tunnel…
Ecco, allora, che da questo barlume di speranza può ripartire un percorso. Certo che San Marino deve auspicare uno Stato palestinese. Ma deve avere il coraggio, dopo il dietrofont sul conferimento dell’onorificenza alla Dottoressa Albanese, di legare quel riconoscimento a condizioni reali: quando la Palestina non sarà più il covo del terrore governato da Hamas; quando avrà sviluppato al suo interno gli anticorpi contro il fondamentalismo islamico; quando potrà garantire quei diritti civili – per le donne, per le minoranze, per chiunque – che oggi sono il fondamento di ogni democrazia degna di questo nome. Allora sì, saremo i primi a festeggiare. Non ora, non così.
Come avrete compreso, questa piccola luce di razionalità accesa ieri in Consiglio, mi ha rinfrancato, dopo aver dovuto ascoltare, sempre oggi, nel comma comunicazioni, un consigliere trasformarsi in una copia di Grimm biancazzurro per raccontare una favola che, per sua stessa ammissione, non ha fatto dormire i suoi monelli… Viene quasi da passare il numero del Telefono Azzurro a quei poveri figlioletti resi insonni. Scherzo, ovviamente, sui monelli. Ma non scherzo quando dico che non mi stupirei se, nella prossima sessione, nella solennità legislativa della più alta sede della millenaria democrazia sammarinese, qualcuno – dopo aver raccontato una favola – decidesse di inscenare direttamente uno spettacolo di burattini.
Ma dimentichiamo, ormai, chi scambia l’Aula consigliare per un palcoscenico… Per oggi, teniamoci stretta la voce della Ragione. È merce rara, purtroppo ancora troppo isolata, ma ritrovata e preziosissima.
Enrico Lazzari












