Più o meno tutti abbiamo sperimentato quanto sia difficile vivere, quasi nessuno pensa quanto possa essere difficile morire. Infatti, la morte è diventata uno spazio etico, giuridico, religioso, che ne ha profondamente cambiato l’idea. Una trasformazione avvenuta soprattutto con l’affermarsi del concetto di “fine vita” che si è articolato in seguito al movimento delle cure palliative moderne, nato negli anni ’60, e al conseguente dibattito bioetico sull’eutanasia, intensificatosi dagli anni ’70 con l’avanzamento delle scienze mediche, portando a riflessioni sempre più complesse sul diritto del paziente a una morte dignitosa.

Un tema delicatissimo e complesso per le sue tante implicazioni, sul quale si è concentrata una serata pubblica organizzata dall’Associazione Emma Rossi, con duplice obiettivo: dare un contributo non retorico ma produttivo alle celebrazioni del 70esimo di fondazione dell’ISS, e affrontare da un punto di vista tecnico, non emozionale, né ideologico, un argomento su cui si misura il grado di sicurezza collettiva.
Per questo ha chiamato, ormai un paio di settimane fa, un personaggio di indiscutibile caratura, un vero esperto, dal momento che ha contribuito alla redazione della legge italiana n.219 del 22 dicembre 2017 riguardante il consenso informato e le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), note come “biotestamento”, per la tutela del diritto alla salute, la dignità e l’autodeterminazione del paziente attraverso la possibilità di esprimere per iscritto le proprie volontà su accertamenti diagnostici e trattamenti sanitari. Lui è il professor Stefano Canestrari, ordinario di Diritto penale nel Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Alma Mater Studiorum, Bologna, nonché membro del Comitato italiano di Bioetica; con trascorsi sammarinesi come Giudice per i rimedi straordinari.
È proprio da questa disciplina organica sulle DAT che parte l’illustrazione di Canestrari sulle tante sfaccettature dei cosiddetti biodiritti, che cominciano da tre punti cardine: consenso informato delle cure, trattamento informato delle cure, rifiuto delle cure. Il rifiuto è un diritto legittimo e non contendibile anche a fronte di trattamenti medici necessari. In questi casi, il suggerimento del professore è di arrivare ad un rapporto empatico con il paziente terminale, promuovendo azioni di sostegno senza alcuna volontà paternalistica ma di semplice solidarietà, comunque capace di alleviare la situazione della persona con trattamenti non terapeutici.
Ovviamente la legge non può elencare i trattamenti, perché le acquisizioni scientifiche, mediche e farmacologiche cambiano velocemente nel tempo. Invece stabilisce con certezza che l’alimentazione e l’idratazione artificiale sono trattamenti sanitari, quindi possono essere rifiutati. Altro esempio: una persona in stato vegetativo non è morta e lo Stato deve considerare la sua libertà di scelta; pertanto, se questa persona ha indicato di non volere essere nutrita in un’eventuale fase terminale, questa volontà deve essere rispettata.
Il suicidio assistito, tema fortemente divisivo. Riguarda i casi in cui la volontà espressa dal paziente ha bisogno di aiuto esterno, come nel caso del distacco da una macchina. La legge italiana, anche in questo caso è chiarissima: il paziente ha diritto di essere intubato, di non essere intubato e di essere estubato. E se il medico è un obiettore di coscienza? Incorre in qualche conseguenza civile o penale? Canestrari ha spiegato chiaramente che non ci sono sanzioni nei confronti del medico obiettore, ma ogni struttura sanitaria ha l’obbligo di garantire con i propri mezzi il rispetto della volontà del paziente.
“Questa legge non afferma il diritto di morire, non è l’eutanasia, ma il diritto a non volere macchine o altre mani sul proprio corpo”. È il concetto giuridico dell’habeas corpus contemporaneo, ha spiegato Canestrari. Ovvero, il rispetto della persona umana è un limite oltre il quale nessun trattamento sanitario può spingersi. Un paradosso? No, ha chiarito il professore, perché se il paziente è dentro una macchina salvavita non perde il diritto di volerne uscire. Non può essere schiavo di un consenso prestato. Questo significa: integrità, inviolabilità, intangibilità della propria sfera corporea.
C’è il problema dei grandi prematuri, sollevato dai neonatologi, che spesso si scontrano con la volontà dei genitori di tentare ogni via, pur di fronte a diagnosi che prevedono una vita solo vegetativa per il bimbo. In questo caso solo loro, i genitori, possono decidere il distacco dalla macchina.
Le cure palliative: sono un diritto umano fondamentale, ma non sono un obbligo. Nel caso di un paziente con diagnosi infausta, il medico deve astenersi da ogni ostinazione di somministrazione di cure o trattamenti inutili o sproporzionati. L’articolo di legge dedicato alla morte senza dolore fisico è stato votato alla quasi unanimità del Parlamento, del Senato e delle commissioni. Prevede la possibilità della sedazione palliativa profonda di fronte a malattie inguaribili e in stato avanzato, quando la morte è attesa entro breve tempo, di fronte a sintomi refrattari a trattamenti sanitari salvavita.
Anche questo concetto non va confuso con l’eutanasia o il suicidio assistito, bensì come il diritto, sancito dalla nuova impostazione giuridica, della persona umana di morire senza soffrire.
Dopo un triennio trascorso dalla sua entrata in vigore, indubbio è il valore della legge sulle DAT, che ha saputo esprimere il segno di un forte senso di civiltà all’interno dell’ordinamento giuridico. Particolari elogi le sono stati rivolti per aver finalmente riconosciuto l’autodeterminazione del paziente nel fine vita e il diritto di rifiutare trattamenti “accanitori”. La legge vincola i medici ma prevede la possibilità di deroga in caso di “incongruità” con la situazione clinica, mantenendo un bilanciamento tra autonomia del paziente e del medico. Insomma, potrebbe essere una buona base di partenza anche per San Marino, dove invece la politica, contrariamente alla società civile, non sembra ancora pronta ad affrontare l’argomento. Ma sarebbe un apprezzabile primo passo, come ha sottolineato l’Associazione Emma Rossi, anche solo la realizzazione di hospice.
								
								











