Nuova udienza del processo d’Appello a carico di Alessia Pifferi, la donna accusata di aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di 18 mesi, nell’estate del 2022, nel suo appartamento nel quartiere Ponte Lambro a Milano. In primo grado Pifferi è stata condannata all’ergastolo per omicidio aggravato da futili motivi e dal vincolo di parentela, con l’esclusione delle attenuanti generiche. Oggi c’è stata la requisitoria, durata oltre due ore, dell’avvocata generale di Milano Lucilla Tontodonati. “Non possiamo contraddirci: se Pifferi lascia alla piccola nel lettino da campeggio quell’acqua e quel biberon è consapevole delle conseguenze, altrimenti non le avrebbe lasciato neppure un bicchiere d’acqua”, ha detto la pubblica accusa chiedendo la conferma dell’ergastolo. La difesa ha insistito invece sul riconoscimento della semi infermità o sulla derubricazione del reato. “Pifferi è un vaso vuoto, non riesce a ragionare”, ha sostenuto la legale Alessia Pontenani nell’arringa conclusiva. In giornata è attesa la sentenza di secondo grado: i giudici della Corte d’Assise d’appello di Milano si sono ritirati in camera di consiglio e il verdetto è previsto non prima delle 17.
La pg: “Capace di intendere e volere, lasciò figlia in condizioni disumane”
Oggi, quindi, in aula è intervenuta Lucilla Tontodonati, sostituta procuratrice generale di Milano. “È una vicenda dolorosissima, con immagini che ci possiamo raffigurare pur non essendo stati nell’immediatezza del fatto a casa di Pifferi e della piccola Diana. Immagini atroci e sconvolgenti”, ha detto in un passaggio della sua requisitoria che si è conclusa con la richiesta della conferma dell’ergastolo. “Il primo e il secondo grado – ha aggiunto – hanno accertato che Pifferi è capace di intendere e volere. È una donna capace di intendere e volere ed è stata una madre capace di intendere e volere. Su questi assunti non si può più discutere”. E in questo caso, ha detto ancora, “l’accertata imputabilità non può che coincidere con la colpevolezza”, data “la coscienza e la volontà del fatto illecito”. Durante la requisitoria, la pg ha sottolineato che Pifferi ha lasciato per quasi sei giorni la figlia “in condizioni disumane”, da sola nell’abitazione di via Parea a Milano, con soltanto una bottiglietta d’acqua e un biberon di latte a disposizione. “La condotta che abbiamo di fronte è particolarmente raccapricciante, ma anche particolarmente difficile da accettare concettualmente, perché è una condotta omissiva. Non è una mamma che butta la figlia dalla finestra, ma che lascia una bambina soffrire per cinque giorni e mezzo nel caldo di luglio a Milano, senza aria condizionata e con le finestre chiuse”, ha aggiunto. Per la pg, c’è una “difficoltà nell’accettare l’idea che una persona capace di intendere e volere possa fare una cosa del genere. Pensiamo che chi l’ha fatto sia pazzo. Ma questo ormai lo dobbiamo eliminare dal nostro pensiero perché abbiamo ben due perizie d’ufficio, oltre alle consulenze di parte”.
La difesa: “Pifferi è un vaso vuoto”
Poi c’è stata l’arringa conclusiva della difesa. “Quando si parla con Alessia Pifferi, ci si rende conto che è un vaso vuoto. Non riesce a ragionare”, ha spiegato l’avvocata Alessia Pontenani parlando della 40enne. “Tutti i test anche del primo grado ci dicono che Pifferi non ragiona. Non riesce a trovare soluzioni alternative. Non è una persona normale. Lei ragiona a modo suo. Nel momento in cui lascia la prima volta la bambina da sola con due biberon, arriva a casa e vede che sta bene”, ha aggiunto la legale in aula. L’avvocato ha poi sottolineato che “nessuno si è mai preoccupato né di Alessia né di Diana. Nessuno ha fatto nulla. Perché avrebbe dovuto uccidere la bambina? Poteva ucciderla in tutti in modi”.
Roberta Bruzzone: “I suoi bisogni sono l’unica cosa che conta”
Uno dei nodi principali del processo riguarda proprio il dubbio che Alessia Pifferi fosse o meno pienamente capace di intendere e di volere quando ha lasciato morire di stenti la figlia di 18 mesi, lasciandola da sola in casa per sei giorni. La perizia disposta nei mesi scorsi nel processo di secondo grado ha stabilito che lo fosse. Nell’ultima udienza, lo scorso 22 ottobre, era stata sentita in aula anche la criminologa Roberta Bruzzone come consulente di parte civile. “I suoi bisogni sono l’unica cosa che conta davvero e tutto il resto si muove perifericamente”, aveva detto Bruzzone riferendosi a Pifferi. “Lei è totalmente in grado di fare un bilanciamento tra i suoi bisogni e quelli degli altri. Non c’è neanche un conflitto. La sua personalità è organizzata intorno a temi ben precisi e ruotano tutti intorno ai suoi bisogni. Gli altri non sono così importanti, compresa la bambina, ma non perché non si rende conto. Se lei si nutre emotivamente, il resto passa in secondo piano, compresa la bambina”, aveva aggiunto la criminologa. Ripercorrendo quanto accaduto il 20 luglio 2022, quando Alessia Pifferi è tornata a casa dopo aver lasciato la piccola Diana da sola per 6 giorni, Bruzzone aveva ricordato: “La prima cosa che fa è aprire le finestre. Lava la bambina, la sistema e poi chiama la vicina di casa e comincia la messinscena. Con una capacità manipolatoria assolutamente di buon livello, mente dicendo ‘Io l’ho lasciata con la babysitter’. Poi la vicina allerta i soccorsi, arriva il 118, e tutti quelli che hanno a che fare con lei in quel momento ricevono delle informazioni manipolatorie”.
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