Una lunga e aspra lite familiare per un’eredità non è un motivo sufficiente per revocare il porto d’armi, se il provvedimento non è supportato da una motivazione completa e coerente. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, che ha accolto il ricorso di un uomo di Ravenna, annullando il decreto con cui la Prefettura gli aveva ritirato la licenza di detenzione di armi a causa del suo decennale conflitto con la sorella.
La vicenda ha origine da una complessa disputa sull’eredità materna, sfociata in anni di battaglie legali. Proprio questa situazione di continua tensione aveva spinto la Prefettura di Ravenna, nel 2023, a revocare la licenza all’uomo, ritenendo che il livello di scontro avesse minato la sua affidabilità e che non offrisse più le garanzie necessarie per detenere un’arma. Il Ministero dell’Interno aveva difeso questa posizione, sostenendo che anche singoli episodi possono giustificare un provvedimento del genere quando dimostrano una conflittualità accesa e persistente.
Il conflitto tra i due fratelli ha radici lontane. Già nel 2014 l’uomo aveva presentato una prima denuncia contro la sorella per sottrazione di beni comuni, poi archiviata. La tensione è nuovamente esplosa nel 2021, quando il fratello ha avviato un’azione civile per la rendicontazione dei conti correnti della madre e ha impugnato il testamento. Un mese dopo, ha sporto un’altra querela accusando la sorella di aver falsificato il testamento olografo, accusa anch’essa archiviata dal giudice per le indagini preliminari. A seguito di ciò, la sorella lo ha denunciato per calunnia, un procedimento penale che risulta tuttora in corso.
Nonostante l’assenza di condanne a carico dell’uomo per i dissidi familiari, la Prefettura aveva deciso per la revoca. L’uomo ha però impugnato l’atto e il Consiglio di Stato gli ha dato ragione. Secondo i giudici amministrativi, il decreto della Prefettura era carente di una motivazione adeguata e coerente, omettendo inoltre di considerare elementi importanti come un avviso della Questura di Ravenna del 2018 e precedenti pronunciamenti favorevoli all’uomo in altre controversie minori.
La decisione del Consiglio di Stato, quindi, annulla la revoca e restituisce il porto d’armi all’uomo, ma non chiude definitivamente la questione. Il provvedimento impone infatti al Ministero dell’Interno di condurre una nuova e più approfondita valutazione della situazione, tenendo conto di tutti gli elementi del caso prima di assumere una decisione definitiva.











