La storia di una donna costretta ad assaggiare il cibo di Hitler per salvarlo dal veleno, e per salvarsi la vita. Sul fragile confine tra colpa e innocenza, la Stagione di prosa del Teatro Galli di Rimini entra nel vivo con ‘L’assaggiatrice di Hitler’. L’appuntamento, che apre il turno D del cartellone, è per sabato 15 novembre alle 21 con una pièce intensa, tratta da un romanzo di successo ma che affonda le radici in una pagina sconosciuta della storia.
Dopo l’anteprima comica di Paolo Cevoli, il sipario si alza su un registro completamente diverso. Come si legge in una nota di presentazione della Stagione teatrale, lo spettacolo è la trasposizione scenica del pluripremiato romanzo “Le assaggiatrici” di Rosella Postorino, portato in scena con la regia di Sandro Mabellini.
In scena ci sono due interpreti, Silvia Gallerano e Alessia Giangiuliani, chiamate a dar vita a Rosa Sauer, personaggio ispirato alla figura realmente esistita di Margot Wölk, che solo in punto di morte confessò la sua incredibile storia. La vicenda è ambientata nell’inverno del ’43, quando la giovane Rosa si rifugia dai suoceri in un villaggio della Prussia orientale, a due passi dal quartier generale del Führer, per sfuggire ai bombardamenti su Berlino. Lì, insieme ad altre nove donne, viene reclutata forzatamente per assaggiare tre volte al giorno i pasti di Hitler, rischiando la vita per sventare un possibile avvelenamento.
La trasposizione teatrale, fedele allo spirito del romanzo, pone allo spettatore una domanda ineludibile: è possibile scivolare nella colpa senza averlo scelto? Si può colludere con il Male per puro istinto di sopravvivenza? La condizione di Rosa diventa così una potente metafora della condizione umana, condannata a dover “assaggiare” il mondo per vivere, ma con il rischio costante di morire, mentre la violenza del nazismo invade la sua vita e l’intera Europa.
Sul palco, Gallerano e Giangiuliani si alternano nell’interpretazione di Rosa, suggerendo le diverse sfumature della sua anima e dando vita a tutti i personaggi della storia. La regia crea una sorta di “film in assenza di cinema”, dove la drammaturgia del suono, della luce e la musica di una fisarmonica suonata dal vivo si intrecciano con il corpo e la voce delle attrici. Agli spettatori è richiesto di riempire con l’immaginazione i vuoti della scena, partecipando attivamente a una narrazione che promette di essere intensa e indimenticabile.











