Le imprese pagano il conto della riforma IGR, i sindacati sognano la settimana corta. Cronaca di una schizofrenia sammarinese… Manca solo la follia del reddito di nullafacenza!

C’è un livello di schizofrenia nel dibattito pubblico sammarinese che meriterebbe di essere studiato in un manuale di psicologia. Da un lato, vediamo le associazioni imprenditoriali che, prevedibilmente, denunciano di essere l’unico bancomat a cui lo Stato attinge per le sue necessità di cassa e, dopo l’ultima riforma IGR, è difficile dargli torto. Ma, a dire il vero, fin qui, nulla di nuovo. Il capolavoro arriva dal mondo sindacale. Nello stesso momento in cui il segretario generale della CSDL, Enzo Merlini, esulta perchè “se era necessario alzare a qualcuno le imposte, di sicuro non dovevano essere dipendenti e pensionati“, ecco che un altro sindacato, la CDLS, esce con la proposta di ridurre la settimana lavorativa a 4 giorni. Ovviamente con relativa riduzione di orario di lavoro e a parità di stipendio.

Enrico Lazzari

Fermiamoci un attimo a contemplare la sublime bellezza di questo idilliaco sogno. Un sindacato – indirettamente – riconosce che le imprese stanno pagando tutto il conto dell’aumento di gettito fiscale strutturale imposto nella riforma; un altro, contemporaneamente, propone di presentare a quelle stesse imprese un ulteriore, pesantissimo, onere. È come rendersi conto che il proprio bue sta tirando l’aratro da solo e, per aiutarlo, si proponesse di aggiungergli un altro quintale di peso sulla schiena. Geniale, no?

Analizziamo la logica, se così possiamo chiamarla. Il ragionamento della CSDL, pur partendo da una premessa teoricamente condivisibile (non tassare ulteriormente i lavoratori), arriva a una conclusione terrificante nella sua ingenuità: siccome i lavoratori non si toccano, il conto deve pagarlo qualcun altro. E quel qualcun altro, guarda caso, è sempre l’impresa. Si ammette che è “iniquo” caricare tutto su una categoria, ma allo stesso tempo si rivendica come una vittoria il fatto che i propri iscritti siano stati risparmiati. È una confessione involontaria: pur di proteggere il proprio orticello, si accetta che il campo del vicino venga prima inondato e poi, addirittura, si propone di darlo alle fiamme.

Ma è sulla proposta della CDLS che la schizofrenia raggiunge il suo apice. Mentre le aziende sono alle prese con un aumento del carico fiscale, si propone di ridurre l’orario di lavoro del 20% a stipendio invariato. Ci vengono prospettate meravigliose storie sul “benessere”, sull'”attrarre talenti”, sulla “competitività europea”. Parole che hanno un senso in un’economia florida e in settori ad altissima tecnologia, ma che a San Marino, oggi, suonano come il delirio di un sognatore… Strafatto, perdipiù.

Chiediamolo direttamente agli imprenditori biancazzurri, a quelli del manifatturiero, del commercio, del turismo: siete pronti a diventare più “competitivi” grazie ai vostri dipendenti che lavorano un giorno in meno alla settimana, ma pagando loro lo stesso stipendio di oggi, proprio ora che lo Stato vi ha presentato il conto della riforma IGR? La risposta, temo, non sarebbe pubblicabile. L’idea che un’azienda possa magicamente riorganizzarsi e aumentare la produttività oraria per compensare il tutto è una favola che non regge alla prova dei fatti della specifica realtà economica sammarinese. È un lusso che, semplicemente, San Marino non può permettersi.

E qui arriviamo al cuore del problema, a un’amnesia collettiva che ha del patologico. Sembra che ci si sia dimenticati da dove si viene. Si è dimenticato il decennio drammatico appena attraversato: il terremoto che ha raso al suolo il sistema bancario, i danni miliardari ai conti pubblici, la “cricca” che ha avvelenato il Diritto e, peggio di tutto, la distruzione della credibilità internazionale del Titano. Per anni, San Marino è stata sinonimo di affidabilità, di convenienza, di snellezza burocratica… Poi, la “Cricca” e chi non l’ha contrastata a dovere, e il tutto si è ridotto a un luogo da cui gli investimenti seri fuggivano come gatti da una casa in fiamme.

Con fatica immane, si sta provando a ricostruire. Ma la lezione fondamentale che tutti si avrebbe dovuto imparare da quel disastro è una, ed è semplicissima: prima ancora di poter creare ricchezza, un Paese come San Marino deve ricreare fiducia. Prima di poter distribuire, si deve ricreare ricchezza. La credibilità, come l’equilibrio di bilancio, non è un accessorio, è l’imprescindibile, unica, vera materia prima su cui costruire il futuro. Senza di essa, non c’è crescita, non ci sono investimenti, non c’è lavoro.

E allora, che messaggio stiamo mandando oggi al mondo, a quell’investitore che, timidamente, sta forse riconsiderando San Marino come un luogo possibile? Gli stiamo dicendo: “Vieni, investi qui, crea lavoro… ma sappi che sarai l’unico a pagare il conto delle nostre necessità di bilancio. Sappi che, mentre ti chiediamo di essere competitivo, i nostri sindacati sognano di far lavorare i tuoi dipendenti un giorno di meno allo stesso costo, come se lavorassero cinque giorni a settimana. Sappi che il nostro sistema è un campo minato di rivendicazioni imprevedibili e irrazionali“.

Chi, sano di mente, investirebbe un solo euro in un ambiente così schizofrenico e instabile?

L’equazione economica di un Paese non è solo “creare e poi distribuire”. Per San Marino, oggi, dopo i disastri della “Cricca” – e non solo – l’equazione è molto più complessa: ricostruire credibilità per poter attrarre investimenti, per poter creare ricchezza e, solo allora, per poterla distribuire in modo sostenibile.

Le proposte come la settimana corta a parità di salario, lanciate in questo preciso momento storico, non sono solo sogni fuori dalla realtà. Sono un atto di sabotaggio a questo faticoso processo di ricostruzione. Ignorano la pre-condizione fondamentale per ogni futura prosperità. A questo punto, perché non completare l’opera con un reddito di cittadinanza universale, o magari di nullafacenza finanziato da chissà quale tesoro nascosto sul Titano?

Qui non si tratta di essere contro i diritti dei lavoratori. Si tratta di capire le priorità. Oggi, la priorità assoluta per ogni sammarinese – lavoratore, pensionato, imprenditore – dovrebbe essere una sola: rendere questa Repubblica di nuovo un luogo credibile e attraente. Tutto il resto, ogni legittimo desiderio di maggior benessere, discende da questo. E solo da questo.

Continuare a ignorarlo, inseguendo utopie mentre le fondamenta sono ancora pericolanti, non è una politica sociale. È la ricetta per assicurarsi che, dopo il disastro finanziario dello scorso decennio, arrivi quello economico definitivo.

Enrico Lazzari