La Corte d’Assise di Bologna ha pronunciato ieri sera il verdetto definitivo nei confronti dell’ex comandante della polizia locale di Anzola: Giampiero Gualandi è stato condannato al carcere a vita per aver ucciso volontariamente la trentatreenne Sofia Stefani. I giudici hanno accolto la tesi dell’accusa, riconoscendo l’intenzionalità del gesto e respingendo la versione difensiva che parlava di una tragica fatalità.
La sentenza e la reazione dei familiari
Alla lettura del dispositivo, nell’aula del tribunale è calato il silenzio, rotto solo dall’emozione dei genitori della vittima, Angela Querzè e Bruno Stefani, presenti a ogni singola udienza del processo. La madre di Sofia, visibilmente commossa, ha accolto la decisione abbracciando la procuratrice aggiunta Lucia Russo. Commentando l’esito del processo, la donna ha sottolineato come una condanna all’ergastolo rappresenti comunque un fallimento per la società, ma ha ribadito la necessità che sua figlia ottenesse giustizia. Il lutto, ha spiegato, accompagnerà la famiglia per sempre, ma la sentenza è stata percepita come un atto dovuto e corretto rispetto alla gravità dei fatti.
La ricostruzione del delitto
L’omicidio si è consumato il 16 maggio 2024 nell’ufficio del comando di polizia locale di Anzola. Sofia Stefani fu colpita mortalmente al volto da un proiettile esploso dalla pistola di Gualandi. Secondo la ricostruzione accolta dalla Corte, non si trattò di un incidente avvenuto durante una colluttazione, come sostenuto dalla difesa, ma di un atto volontario. Il movente individuato dalla Procura risiede nella volontà dell’uomo di salvare il proprio matrimonio: la moglie aveva scoperto la relazione extraconiugale il 30 aprile precedente, e Gualandi le aveva mentito assicurando di aver chiuso i rapporti mesi prima. Le analisi sui dispositivi elettronici hanno invece dimostrato che la frequentazione era proseguita fino al giorno del delitto e che la vittima, stanca delle menzogne, stava cercando di contattare la moglie dell’amante per rivelarle la verità.
Una relazione tossica e manipolatoria
Durante il dibattimento è emerso il quadro di un rapporto profondamente squilibrato. L’accusa ha evidenziato come l’ex comandante avesse instaurato un legame basato sulla manipolazione, approfittando delle fragilità psicologiche della donna, che soffriva di un disturbo della personalità. Tra gli elementi portati in aula figurava anche un controverso contratto di sottomissione sessuale, che la difesa ha tentato di ridimensionare a semplice gioco di ruolo, ma che per i magistrati rappresentava la prova di una dinamica di potere in cui Gualandi esercitava un controllo totale. Anche le promesse di avanzamento di carriera fatte alla giovane sono state inquadrate come strumenti per mantenerla legata a sé.
Il fallimento della linea difensiva
Gli avvocati difensori hanno tentato fino all’ultimo di far riqualificare il reato in omicidio colposo o preterintenzionale, insistendo sulla tesi del colpo partito accidentalmente mentre la donna lo aggrediva. Questa versione, tuttavia, non è stata ritenuta credibile dai giudici, che hanno confermato l’aggravante del legame affettivo, pur facendo cadere quella dei futili motivi. La condanna chiude un capitolo giudiziario doloroso, segnato anche dal rifiuto netto della famiglia Stefani di accettare le scuse tentate dall’imputato durante le udienze precedenti, considerate tardive e ininfluenti di fronte alla perdita subita.












