Andorra. Il referendum promesso e mai nato: la verità nuda e cruda … di Joan Carles Rodríguez Miñana

Il quadro è ormai cristallizzato: dopo due anni di tira-e-molla sulla natura giuridica dell’Accordo di Associazione, il nodo è stato sciolto fuori tempo massimo. La lettera formale di Macron – Coprincipe d’Andorra e presidente di un Paese con lunga tradizione di accordi “misti” – ha chiuso il cerchio: per Francia, e per una parte rilevante degli Stati membri, l’accordo è misto. Punto.

La conferma è arrivata anche nell’ultimo incontro tra Beccari e António Costa. Tradotto: la partita referendaria non era mai sotto il controllo dei microstati e il risultato è scontato. L’Accordo verrà dichiarato “misto”, con le conseguenze che, da due anni, nessuno ha mai voluto spiegare.

Il lettore andorrano lo dice senza fronzoli: se sapevano da tempo che la posizione francese e di altri Stati era “tradizionalmente” mista, perché nessuno ha avuto il coraggio di dirlo prima?

Per due anni, tra Andorra e San Marino, si è alimentato il mantra del “referendum imminente”. Un mantra utile per prendere tempo. Ma totalmente scollegato dalla realtà dei fatti: un accordo misto richiede ratifiche nei Parlamenti dei 27, e in alcuni casi perfino delle loro Regioni. Tradotto in linguaggio aziendale: timeline non controllabile, go-live non calendarizzabile, rischio di slittamenti fino a dieci anni.

Alcuni obblighi – come la normativa sui documenti di residenza o il giro di vite sulle quote d’immigrazione – hanno date già fissate nell’accordo stesso, non legate all’entrata in vigore. Effetto immediato: si stanno già bruciando i periodi transitori. È la fotografia plastica di una governance negoziale debole, più reattiva che proattiva.

E adesso? Archiviato il falso dibattito “misto vs esclusivo”, i governi trovano un nuovo argomento per dilazionare la consultazione popolare: “Attendiamo la decisione del Parlamento Europeo”.

Peccato che:

– non esista alcun obbligo di attendere il Parlamento Europeo;
– il referendum è un affare domestico;
– i 27 dovranno comunque votare singolarmente;
– attendere Bruxelles significa una sola cosa: posticipare oltre il limite strategico delle elezioni.

Lo dice chiaramente l’ex Capo di Governo Albert Pintat: le prossime elezioni saranno plebiscitarie. Se vince chi è pro-accordo, referendum inutile; se vince chi è contro, referendum superfluo.

Messaggio aziendale chiaro: la governance sta portando il Paese verso uno scenario in cui il referendum non servirà più.

Il lettore andorrano chiude con una filastrocca popolare: metafora perfetta. Il referendum è stato tenuto vivo come un animale domestico da mostrare alla popolazione per due anni. Adesso che la realtà europea si è imposta, il “giocattolo” ha smesso di funzionare.

Il risultato? Un referendum non nato. E una leadership politica che ha preferito gestire narrativa, non percorso.

In un mondo corporate sarebbe semplice: progetto fallito, sponsor da sostituire, roadmap da riscrivere.

In politica, invece, si preferisce raccontare che “non è ancora il momento”.

Joan Carles Rodríguez Miñana (notaio in Andorra)