C’è un concetto fondamentale che, nei vent’anni di vita della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD), non ha mai trovato spazio nel dibattito pubblico sammarinese: l’accomodamento ragionevole: che consiste nell’individuare quella risposta, quel supporto o quella modifica che, senza costi sproporzionati, permetta a una persona con disabilità di esercitare i propri diritti su base di uguaglianza con gli altri “qui e ora”, e non in un futuro indefinito.
E’ un tema presente in molti articoli della CRPD e, a differenza dell’accessibilità -che richiede la trasformazione progressiva della società attraverso monitoraggio, progettazione, investimenti e interventi strutturati-, l’accomodamento ragionevole ha un carattere immediato e riguarda ogni ambito della vita: non solo il lavoro, ma anche l’abitare, la scuola, la sanità, i trasporti, i servizi, gli uffici pubblici, la vita culturale e ricreativa.
In molti Paesi il rifiuto ingiustificato di un accomodamento ragionevole è considerato una forma di discriminazione, perché penalizza in modo diretto il diritto alla Vita Indipendente delle persone con disabilità. Questo perché l’accomodamento ragionevole non è una concessione né una gentilezza: è la ricerca dovuta di una risposta possibile per rendere effettivo un diritto.
È l’essenza stessa della ragionevolezza: fermarsi, riflettere, discutere insieme e individuare soluzioni praticabili, evitando risposte affrettate, irragionevoli o inefficaci.
Bene, Il 3 dicembre, Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, arriva ogni anno accompagnato da buone intenzioni. Dichiarazioni generiche, foto di rito, piani pluriennali incompiuti e promesse che spesso svaniscono già nel momento in cui vengono pronunciate. Quest’anno, però, vorremmo provare a invertire questa logica: proporre un patto. Un patto semplice, ragionevole e concreto, capace di far compiere a San Marino un passo avanti culturale e politico:
Come abbiamo recentemente ricordato, a San Marino manca ciò che in molti Paesi rappresenta la base di ogni percorso di autonomia: il Progetto di Vita Individualizzato (PIV). Nel tempo, molte delle nostre sollecitazioni sono rimaste senza riscontro, segno di un’attenzione politica che su questi temi non si è mai davvero attivata. Non si tratta di un documento burocratico, ma di una visione, di un percorso condiviso, di una cornice che sostiene la continuità della vita e che non si attiva solo nei momenti di emergenza. La normativa sammarinese avrebbe dovuto prevederne la regolamentazione da molti anni, ai sensi del Decreto Delegato 1 febbraio 2018 n. 14: un sistema di welfare centrato non solo sulle strutture e sulle disponibilità del sistema, ma anche sulle persone, sulle loro necessità specifiche e sui loro desideri.
E’ giunta l’ora di riconoscerlo con onestà: tra il momento di una diagnosi e il momento in cui una persona rischia di rimanere sola, tuttora a San Marino si apre un vuoto che per molte famiglie diventa un incubo. In quel vuoto non c’è il diritto di scegliere dove, come e con chi vivere. Non c’è un “Dopo di Noi”. Non c’è un percorso che prevenga, accompagni ed emancipi. Eppure è proprio in quel mezzo che scorre la vita: è lì che abitano i progetti, le relazioni, le aspirazioni. È lì che le norme internazionali, comprese quelle italiane, collocano il diritto inalienabile della persona a costruire il proprio futuro.
Colpisce che un Paese piccolo come San Marino, teoricamente in grado di intervenire con maggiore agilità rispetto a realtà più complesse, non abbia ancora assunto questo principio come propria bussola. Se il PIV fosse stato introdotto davvero, la de-istituzionalizzazione e il contrasto all’isolamento sociale sarebbero già in corso in modo progressivo e naturale, senza rimedi straordinari e forse irragionevoli.
Per riuscirci, però, occorre un cambio di prospettiva: far convergere in un unico “budget di progetto” le tante risorse oggi disperse e vincolate, troppo spesso destinate a sostenere le strutture e non le persone. Significa uscire dalla logica della conservazione ed entrare nella logica della costruzione. Significa riconoscere che una vita autonoma e dignitosa richiede sostegni adeguati – compresa l’assistenza personale – e non interventi occasionali, frammentati o emergenziali. Continuare a rinviare, a spostare in avanti la discussione, significa lasciare centinaia di persone in un limbo e gettare smarrimento in chi vuole solo capire come potrà vivere la propria vita con dignità oggi, e anche quando, un domani, chi oggi si prende cura di loro non ci sarà più.
Per questo, proponiamo un impegno chiaro e alla pari: sedersi insieme (istituzioni, associazioni, famiglie e persone con disabilità) e avviare un percorso condiviso per costruire una Legge sul Progetto di Vita Individualizzato, una legge fondata sulla CRPD, con tempi chiari e contenuti solidi. Non chiediamo celebrazioni, discorsi solenni o fotografie commemorative. Chiediamo un atto di responsabilità reale. Chiediamo di assumere, finalmente, questo “accomodamento ragionevole condiviso” come bussola delle decisioni politiche e amministrative. Chiediamo un tavolo che non si apra per dovere, ma per convinzione.
Per il prossimo 3 dicembre, più delle parole, contano le scelte. È il momento di decidere se vogliamo davvero costruire insieme un futuro fondato sulla ragionevolezza, sul dialogo e sulla responsabilità condivisa, oppure continuare a buttare la palla in tribuna.
È un percorso possibile, se scegliamo di volerlo. Noi siamo pronti a fare la nostra parte.
Comunicato stampa Attiva-Mente













