Cari sammarinesi,
questa mattina tiriamo un sospiro di sollievo. Il timore che le nostre istituzioni locali restassero paralizzate si è dissolto: in tutti i Castelli, anche dove la scelta era obbligata e i timori più sensati, il quorum è stato raggiunto. La Repubblica ha tenuto. A chi si è recato alle urne – quel 41,33% di cittadini che ha risposto “presente” – va il grazie di tutta la comunità. Avete scelto la responsabilità contro l’indifferenza. Lo avete fatto come minoranza della comunità, in poco più di quattro su dieci… Ma è stato sufficiente, seppure non gratificante per una società che si vuol credere razionale.
C’è un fatto, accaduto ieri tra le colline di Domagnano, che vale più di mille discorsi sulla democrazia, e che deve far tremare i polsi a chi ha scelto di restare sul divano.
Lì, dove la sfida era vera e aperta tra due liste, Roberta Cecchini è diventata Capitano superando lo sfidante Alberto Lazzari per soli 10 voti (almeno così è risultato prima di una analisi più approfondita di ogni scheda). Avete letto bene. Dieci voti. Soltanto 10 voti di scarto fra vincitore e sconfitto.
Su 2.808 cittadini che avevano diritto di parola, il destino di un’intera comunità per i prossimi cinque anni è stato deciso da una differenza di sostenitori dell’una o dell’altra lista, di persone, che si contano sulle dita di due mani.
Quante volte vi ho sentito dire, nei bar o nelle piazze, magari queste nuove elettroniche come Facebook: “Ma cosa vado a fare? Tanto il mio voto non conta nulla”, “Uno in più o uno in meno non cambia niente”. Ebbene, Domagnano oggi vi risponde con la forza brutale dei fatti: vi sbagliavate.
Se solo 10 di voi, tra quelli che hanno sbuffato e sono rimasti a casa, avessero deciso di alzarsi e andare al seggio, il risultato avrebbe potuto essere un pareggio. Se fossero stati undici, la storia di quel Castello sarebbe cambiata. Quei dieci voti sono la prova vivente che in una democrazia, specialmente in una piccola come la nostra, il singolo voto è un macigno.
Non votare non è mai un atto neutro. Non è “non scegliere”. È una scelta precisissima: significa delegare ad altri il potere sulla propria vita. Significa dire: “Decidete voi per me, io mi limito a subire quello che stabilite“. Ieri a Domagnano, chi non ha votato ha lasciato che fossero altri dieci concittadini a scegliere il Capitano anche per lui. Spero che questa lezione serva a tutti per il futuro: ogni voto conta, perché ogni assenza pesa come il piombo.
E non cerchiamoci alibi comodi. Voglio ricordarvi un dato che spesso dimentichiamo: per le Giunte votano solo i residenti. Non ci sono le migliaia di concittadini d’oltreoceano a “diluire” le percentuali. Quel 58% di sammarinesi che ieri non si è presentato alle urne non era in America o in Argentina. Era qui. Era nelle nostre case, nelle nostre vie, magari a lamentarsi delle buche stradali. L’assenza è tutta nostra, tutta interna.
Guardo ai risultati con rispetto: alle conferme solide e ai nuovi Capitani. C’è un segnale di stabilità che conforta, incarnato dalle riconferme. Penso a Giacomo Rinaldi a Montegiardino – il Castello più virtuoso con oltre il 60% di votanti – e a Marino Rosti a Chiesanuova, entrambi avviati al terzo mandato. Penso a Giorgio Moroni e Enzo Semprini, confermati per la seconda volta. È il segno di comunità che apprezzano il lavoro svolto. Ma in questa continuità, non posso nascondere una piccola ombra: il terzo mandato, seppur legittimo e meritato, ci ricorda anche la fatica del ricambio, la difficoltà nel trovare nuove energie pronte a raccogliere il testimone. È un campanello d’allarme che suona piano, ma che non dobbiamo ignorare.
Ma, oggi, guardo soprattutto a quel margine sottile di Domagnano.
Che diventi un monito per tutti noi. La prossima volta che penserete “il mio voto non cambia nulla”, ricordatevi di quei dieci voti. E ricordatevi che la democrazia non regala nulla: o la si esercita, o la si subisce.
Buon lavoro agli eletti, e buona riflessione a tutti noi.
Marino d’Arbe














