La lettera di Michel Giannotti, arrivata dalla Francia con la lucidità di chi ha visto dall’interno come l’Europa abbia progressivamente abdicato al buon senso, è una di quelle che fanno rumore. Non perché urli, ma perché fotografa la realtà senza l’autocensura che domina ormai da anni la politica sammarinese. È la voce di un sammarinese che non ha bisogno di incarichi né di favori, e proprio per questo può permettersi di dire la verità: San Marino sta infilando la testa in un cappio che altri hanno stretto prima di noi, con esiti devastanti.

Giannotti non fa retorica, non parla per slogan. Parla per esperienza. E soprattutto mette in fila, uno dopo l’altro, i punti che la politica evita accuratamente, come se ignorarli li facesse sparire. Non è così. E infatti il suo ragionamento è un pugno sul tavolo che inchioda alle proprie responsabilità una classe dirigente che da anni gioca a fare la diplomazia europea senza avere né la stazza, né la struttura, né la consapevolezza di ciò che sta firmando.
L’oggetto del contendere è l’Accordo di Associazione. Per Giannotti è una follia.
E non ha torto: Beccari sta vendendo come “opportunità storica” quella che, in realtà, è una resa incondizionata.Quello che lui chiama “integrazione”, nella vita reale significa vincoli, limiti, obblighi, normative invasive che valgono per Stati enormi e strutturati. Noi, semplicemente, non abbiamo gli strumenti per reggere l’urto. Non li avevamo ieri, non li abbiamo oggi, non li avremo domani.
E mentre continua a declamare “modernità”, “market access”, “dialogo costruttivo”, la verità sta altrove: Beccari sta consegnando la sovranità sammarinese a Bruxelles senza nemmeno avere il coraggio di andarlo a dire ai cittadini guardandoli negli occhi. La sua politica estera è un inchino costante, una diplomazia di piaggeria, un modo di governare che sembra più ispirato al compiacere gli uffici dell’UE che a difendere San Marino.
Giannotti non si limita a questo. Affonda sul punto più scomodo di tutti: l’immigrazione.
E qui non c’è buonismo che tenga. Da chi vive in Francia arriva un avvertimento chiarissimo: se seguite questa strada, farete la fine di noi, solo molto più velocemente.
Perché noi non siamo 67 milioni di abitanti con un apparato mastodontico alle spalle: siamo trentamila persone in una repubblica minuscola, senza case pubbliche, senza strutture, senza organi di sicurezza adeguati a gestire flussi e relative conseguenze.
Il paradosso che sottolinea è perfetto nella sua brutalità: sarà più facile per un migrante stabilirsi con tutta la famiglia, ottenere documenti, scuola, sanità e casa, che per un sammarinese residente all’estero tornare nel proprio Paese.
È già così. E peggiorerà.
Poi c’è la domanda che nessun politico sammarinese osa pronunciare:
perché queste persone non vanno nei Paesi che condividono lingua, religione, cultura e tradizioni?
Perché l’Europa, come spiega Giannotti, è percepita come terra dove tutto è dovuto, dove lo Stato si piega per non “offendere”, dove i valori delle società ospitanti vengono smontati pezzo per pezzo per compiacere comunità che non hanno alcuna intenzione di integrarsi.
Giannotti avverte San Marino: state ripetendo gli stessi errori della Francia.
E lì, dove lo Stato è imponente, la situazione è comunque sfuggita di mano. Immaginate cosa accadrebbe qui.
Sul riconoscimento dello Stato palestinese compiuto da Beccari nel momento più sbagliato degli ultimi vent’anni, il giudizio è netto: un gesto impulsivo, ideologico, totalmente scollegato dalla prudenza diplomatica che un micro-Stato dovrebbe avere come bussola.
Beccari ha scambiato la geopolitica per attivismo. E oggi rischiamo di pagarne le conseguenze anche sul piano della sicurezza nazionale, perché aprire le porte a comunità che vengono da un territorio dove Hamas controlla ogni anagrafe, ogni lista, ogni transito, senza un sistema di intelligence minimale, significa giocare con il fuoco.
La conclusione di Giannotti è una sentenza senza appello: firmare questo accordo, continuare su questa linea, ed estendere accoglienze fuori scala significa ipotecare il futuro del Paese. È un grido d’allarme che qui, sul Titano, nessuno ha il coraggio di raccogliere.
Si preferisce applaudire, annuire, e fare finta che “tanto non succederà niente”.
È lo stesso mantra che si ripeteva in Francia negli anni ’80. Sappiamo com’è finita.
E mentre Giannotti, da Parigi, mette in guardia il Titano dalle conseguenze di un modello che lui ha visto esplodere in diretta, noi continuiamo a farci raccontare la favola dell’Europa come se fosse un ascensore verso la modernità, e non una porta spalancata su problemi enormi che uno Stato minuscolo non può né governare né assorbire.
Ecco perché la sua richiesta di un referendum è non solo legittima, ma doverosa.
Non si può consegnare la sovranità della Repubblica senza che i sammarinesi lo sappiano fino in fondo, senza che comprendano ogni dettaglio, ogni conseguenza, ogni vincolo.
Non si può imporre dall’alto una trasformazione così radicale senza avere il coraggio di guardare il popolo negli occhi.
Giannotti ci ricorda una cosa semplice: un Paese può permettersi errori politici. Ma non può permettersi errori esistenziali.
E ciò che Beccari sta portando avanti è un errore esistenziale.
Marco Severini – direttore di GiornaleSM













