Tra pochi giorni, il 12 e 13 dicembre, il Kursaal si vestirà a festa per il 5° Congresso sulle Cure Territoriali. Titoli altisonanti, “innovazioni clinico-assistenziali“, “telemedicina“, “integrazione ospedale-territorio“. Ci saranno strette di mano, slide coloratissime proiettate su schermi giganti, catering impeccabili e parole, tante parole. “Resilienza“, “prossimità“, “presa in carico“… Tutto bellissimo. È la Sanità che a voi piace raccontare: moderna, efficiente, d’avanguardia.
Poi, però, c’è la Sanità reale. Quella che inizia quando si spengono le luci del Kursaal e si accende la luce al neon del Pronto Soccorso di Cailungo. Quella della signora Maria che prova a prenotare una visita e spera che qualcuno risponda al telefono. Ecco, proprio qui, in questo scarto tra la “Sanità delle slide” e la “Sanità del mal di pancia“, si gioca la vera partita della Repubblica.
Eppure, per una volta, devo fare l’avvocato del diavolo (o meglio, del Governo). Perché se smettete di lamentarvi per sport e guardate i numeri, qualcosa è successo. Dall’arrivo del Segretario di Stato Mariella Mularoni, il clima è cambiato. Dopo gli anni delle “urla e furori” della gestione Ciavatta, dove ogni giorno era una trincea o un esposto alla Magistratura, la Mularoni ha portato un approccio più democristiano, non nel senso politico, ma in quello più nobile del termine: meno post su Facebook, più lavoro d’ufficio. E i risultati, piaccia o no, ci sono. I dati ufficiali (fonte ISS e monitoraggi recenti) parlano di una riduzione delle liste d’attesa che sfiora il 24% rispetto al picco drammatico del 2022. Visite specialistiche che prima richiedevano mesi, oggi si ottengono in tempi più umani. Le “prime razionalizzazioni” stanno funzionando. Il vostro sistema, che sembrava sull’orlo del collasso post-Covid, ha ricominciato a camminare. Ma, concordo con voi, deve galoppare!
Certo, l’utenza non lo percepisce ancora del tutto. È il classico paradosso: la statistica “risale” in ascensore, la percezione imbocca le scale. Però, è innegabile che se aspettate 15 giorni invece di 30 per la visita specialistica, siete comunque arrabbiati perché vorreste aspettarne 2. Ma onestamente, nessuno può negare che un primo tangibile passo avanti c’è stato, che si è invertito il trend negativo.
Ora però si apre il vero capitolo, quello che molti sussurrano, ma pochi scrivono chiaramente: il “Dopo-Bevere”. Con le dimissioni del giugno scorso del Direttore Generale Francesco Bevere, si è chiusa, finalmente, l’era del “Papa Straniero”. E diciamocelo con franchezza: era ora.
Bevere era stato presentato come il salvatore della Patria, il super-manager italiano calato dall’alto per insegnare a voi come si sta al mondo. Voi ve lo ricorderete, certo. Ma per cosa? Forse per lo stipendio faraonico (se ben ricordo oltre 130mila euro più benefit, casa e auto con autista) che faceva impallidire qualsiasi dirigente sammarinese? O forse ve lo ricorderete per la sua “passione” per i “balocchi-tecnologici”? Mentre i Centri Salute andavano in affanno e mancavano i medici di base, lui “investiva” milioni di euro nel Robot chirurgico, poi utilizzato per ernie inguinali e, spero di no in realtà, asportazioni di tonsille. E ciò senza dimenticare di presentare rendering di nuovi ospedali futuristici (hobby forse ancora in voga), circondato da costosi consulenti romani chiamati a spiegare ai vostri tecnici come organizzare gli uffici. In pratica, metaforicamente, vi siete ritrovati un costosissimo chirurgo che, però, operava l’ombra del malato.
La sua eredità non è mista, è un monito: ha portato – a mio parere – la “finanza creativa” applicata alla sanità, alzando l’asticella delle spese e delle relazioni pubbliche, ma dimenticando l’anima vera, “paesana” (nel senso migliore del termine) del vostro sistema. Quell’anima che non vuole il robot che opera con un jostick sito in New York, ma vuole il medico che conosce il paziente per nome e gli risponde al telefono. La COT (Centrale Operativa Territoriale), sotto la sua egida, è diventata spesso un muro di gomma burocratico invece che un ponte per il cittadino.
La sua uscita di scena lascia la Repubblica finalmente “nuda” di fronte allo specchio, senza più l’alibi del manager venuto da fuori che “costa tanto ma…“. Ora i soldi restano in cassa (e sono tanti) e la responsabilità torna totalmente nelle vostre mani. E questo Congresso sulle “Cure Territoriali” casca a fagiolo. Perché è proprio sul territorio che si vince o si perde, non nei rendering architettonici. È inutile avere un Direttore Generale che viaggia con l’autista se poi la nonna centenaria di Chiesanuova non riesce a farsi misurare la pressione a domicilio.
Dunque, ben venga il Congresso al Kursaal. Ma spero che tra un “coffee break” e una “lecture magistrale“, qualcuno si ricordi di guardare – oltre alle affascinanti slide – fuori dalla finestra…
La Sanità sammarinese è uscita dalla terapia intensiva grazie ad una politica più silenziosa e concreta (brava il Segretario di Stato Mularoni), ma soprattutto si è liberata dalla sbornia dei fondi infiniti, come se nei sotterranei dell’Ospedale di Stato ci fosse una zecca – clandestina – sammarinese. L’obiettivo ora – spero – non sarà più quello d’incantare con i gadget tecnologici, ma fare in modo che quando la signora Maria chiama il CUP, senta una voce amica e non una musichetta d’attesa infinita. O, peggio, una pernacchia!
Se riuscirete a fare questo, tornando alla normalità e risparmiando qualche centinaio di migliaia di euro di “super-stipendi” e ricambi di un robot pressochè inutile, allora sì che avrete fatto la vera rivoluzione, smettendo di scambiare il fumo con l’arrosto. Il resto è solo fumo negli occhi… E di fumo – con i medici che pedalavano su una bicicletta arrugginita e sgonfia, mentre qualcuno giocava online all’Allegro Chirurgo da New York, bruciando risorse con cui si sarebbero potute comprare migliaia di pompe – ne avete respirato fin troppo.
Enrico Lazzari












