Stiamo entrando in un’era finanziaria che non assomiglia a nulla di ciò che abbiamo vissuto finora. Le banche che per decenni abbiamo conosciuto attraverso lo sportello, il direttore con la cravatta blu e le firme a penna stanno lasciando spazio a qualcosa di completamente diverso: non più istituzioni lente e burocratiche, ma interfacce digitali, ecosistemi intelligenti che ragionano, prevedono, suggeriscono e – in certi casi – decidono per noi.
Il denaro, poi, smette di essere un numero su un estratto conto per diventare un codice che vive su blockchain e si muove con la velocità di un impulso elettronico. La vecchia coda in filiale sarà sostituita da un avatar che parla con voce sintetica, ti guarda negli occhi (virtualmente) e ti dice dove investire per non farti mangiare dall’inflazione. Sembra fantascienza, ma non lo è più. Lo dicono i rapporti dei più grandi centri di ricerca finanziaria internazionali. È un percorso già avviato e ormai irreversibile, come il famoso accordo di associazione UE che qui da noi fanno finta di capire solo alcuni politici… ma questa è un’altra storia.

La verità è che l’intelligenza artificiale ha già oltrepassato la porta delle banche e ne sta riscrivendo il funzionamento. Secondo il rapporto Economist Impact–SAS, praticamente tutti i dirigenti bancari stanno implementando progetti di AI. L’obiettivo è triplice: ridurre i costi operativi, prevenire le frodi con analisi istantanee di milioni di movimenti e, soprattutto, prevedere il comportamento del cliente. Il modello tradizionale guardava al passato: reddito, bilanci, storici. Il nuovo guarda al futuro: l’algoritmo valuta la tua capacità di rimborso, il modo in cui spendi, le relazioni economiche e persino la tua comunicazione digitale. La fiducia, un tempo conquistata con la stretta di mano del direttore, si sta spostando verso il machine learning.
Deloitte lo spiega senza giri di parole: la banca diventerà un organismo predittivo, una sorta di Amazon finanziario che sa cosa vuoi prima che tu lo chieda. Opportunità enormi, certo, ma anche rischi seri: se ti classifica male, l’algoritmo ti può tagliare fuori dal credito senza possibilità di appello umano.
In questo passaggio epocale, la “fiducia” smette di essere un atto umano e si trasferisce nel mondo digitale. Chiara Scotti, vice direttrice della Banca d’Italia, ha ricordato che il problema non è adottare nuove tecnologie, ma governarle. Il sistema deve diventare più moderno senza perdere la resilienza. Tradotto: l’AI è un acceleratore, non un sostituto del buon senso.
Gli sportelli fisici, però, stanno vivendo il loro canto del cigno. Il World Economic Forum prevede che nel 2035 nove operazioni su dieci saranno interamente digitali. Le filiali non spariranno, ma diventeranno hub: luoghi di consulenza, formazione e incontri. Spazi aperti, trasparenti, senza barriere, dove si va per un trust, un’eredità, una pianificazione patrimoniale. Il resto lo faranno ATM evoluti, chatbot e assistenti virtuali attivi 24/7. È già così in molti Paesi europei: una filiale su quattro è stata chiusa negli ultimi anni. Il cliente vuole velocità, non burocrazia.
Intanto le neobank come N26, Revolut e Illimity hanno dimostrato che l’utente moderno preferisce un’app che funziona bene piuttosto che una filiale con la moquette consumata. Tuttavia, la fiducia istituzionale è ancora il vero asset competitivo delle banche tradizionali. I grandi patrimoni restano dove c’è stabilità. Ma la coesistenza diventerà difficile quando gli istituti storici offriranno consulenza con AI, wallet digitali, servizi crypto integrati e open banking avanzato. Secondo Accenture, entro dieci anni il 40% delle operazioni retail passerà da piattaforme non bancarie: e-commerce, social network, app della vita quotidiana. È la finanza invisibile che si infila ovunque senza che ce ne accorgiamo.
E qui arriviamo alla vera rivoluzione: Bitcoin. Paradossalmente, ciò che doveva abbattere le banche oggi entra in banca dalla porta principale. Una banca europea su cinque offre già servizi collegati a Bitcoin e il dato cresce ogni trimestre. Colossi come BlackRock, Fidelity e JPMorgan gestiscono fondi in BTC. In Svizzera puoi aprire conti in euro, dollari e Bitcoin come se nulla fosse. Le banche hanno capito che non possono combatterlo, quindi lo stanno integrando nel sistema. Bitcoin non diventa il nemico, ma un asset da custodire e monetizzare. La Banca d’Italia parla di “ecosistema blockchain regolato”. Tradotto: non si torna più indietro.
Parallelamente avanzano le valute digitali delle banche centrali, le famose CBDC. L’Euro Digitale, il Digital Dollar, lo Yuan Digitale. Denaro tracciabile, programmabile, istantaneo. Un conto direttamente presso la banca centrale, senza intermediari. Un sistema efficiente, ma ultrasorvegliato. Ogni movimento può essere visto, registrato o bloccato. L’Economist Intelligence Unit ha avvertito: il problema non è tecnico, è politico. Chi controlla i dati controlla il cittadino. E qui si apre un bivio che nessun Paese potrà evitare.
Da una parte c’è lo scenario “Bitcoin”, con una finanza distribuita dove la responsabilità ricade sui singoli e la libertà economica è massima. Dall’altra c’è lo scenario “CBDC”, con un sistema ordinato, stabile, completamente digitalizzato, ma guidato da un livello di controllo pubblico mai visto prima. È la partita del secolo: libertà contro efficienza, anonimato contro tracciabilità. Due modelli destinati a convivere, piaccia o no.
A tutto questo si aggiunge un elemento che fino a pochi anni fa sembrava marginale e oggi è diventato centrale: la sostenibilità. Le banche,
dopo gli scandali, i crack e i salvataggi pubblici, devono mostrare non solo di fare utili, ma di meritare la loro reputazione. I nuovi standard ESG obbligano gli istituti a dichiarare l’impatto ambientale e sociale dei loro investimenti. Dal 2025, con le regole EBA, il settore dovrà rendere pubblici i propri “dati verdi”. Una rivoluzione silenziosa che cambia i criteri del credito: chi inquina paga tassi più alti, chi migliora l’ambiente viene premiato. È la finanza che prova a ripulire se stessa.
Il cliente del futuro, però, non sarà più quello che entra in filiale con il cappotto sulle spalle. Sarà digitale, veloce, selettivo, e soprattutto diffidente. Vuole tutto subito ma non vuole essere osservato troppo da vicino. Vuole sicurezza ma senza sentirsi spiato. PwC dice che il 73% dei consumatori sceglie una banca non per il prezzo, ma per l’esperienza. Il vero capitale delle banche, quindi, resterà sempre lo stesso: la fiducia. Solo che oggi mantenere questa fiducia è molto più complesso.
Nel nuovo mondo digitale, anche la linea tra banca e Stato si assottiglia. Con le CBDC, le banche centrali potranno accreditare denaro direttamente ai cittadini, mentre il sistema bancario gestirà solo la parte tecnica. Bitcoin resterà invece la moneta del dissenso, quella che sfugge al controllo e rappresenta l’autonomia economica individuale. Due strade opposte che però si completano. Ordine e libertà, regolazione e autodeterminazione.
Alla fine, tutto ruota attorno allo stesso concetto che regge la finanza da quando esiste: la fiducia. Nel 2035 apriremo il nostro wallet digitale e troveremo euro digitali, token ESG e qualche satoshi. Sarà il nuovo linguaggio del denaro. Ma la sostanza non cambia: crediamo nel valore solo perché qualcuno – o qualcosa – ci promette che quel codice elettronico vale davvero.
La verità è semplice: la tecnologia può trasformare il denaro, ma non potrà mai sostituire la fiducia umana. Ed è su questo terreno che si giocherà il futuro delle banche, degli Stati e, soprattutto, dei cittadini.
Marco Severini – direttore GiornaleSM












