“Fino alla Fine (dei soldi)”. La lezione della Juventus a San Marino: quando l’irresponsabilità e l’arroganza battono il realismo, restano solo i buchi … di Enrico Lazzari

Cari amici juventini (e so che sul Titano siete una legione con discreta rappresentanza anche al Governo), vi sono vicino. Davvero. Vabbè, scherzavo…

Tornando serio, ritengo che debba essere dura passare dall’essere i padroni d’Italia, quelli che “vincere è l’unica cosa che conta”, a festeggiare un pareggio stiracchiato come se fosse la Champions League o celebrare una vittoria con il decisivo terzo goal centrato al 93esimo nella porta del Bodø, o come si chiama… Deve essere ancora più dura leggere il bilancio e scoprire un rosso di bilancio di quasi 200 milioni di euro, capace di far “incavolare” anche la Uefa. Il più alto della storia. Un capolavoro al contrario.

La “Vecchia Signora” oggi somiglia a quella nobile decaduta che continua a ordinare ostriche e champagne mentre l’ufficiale giudiziario le sta pignorando i candelabri d’argento. Ma perché vi parlo di calcio in uno dei miei ormai rituali editoriali? Perché la catastrofe gestionale bianconera è la più potente, divertente (per gli altri e per me) e tragica lezione di “scienza dell’amministrazione” che San Marino possa studiare oggi.

Guardate il caso di Weston McKennie. Ecco l’emblema del fallimento della “programmazione”. Già l’estate scorsa Giuntoli, all’epoca visto come il nuovo messia del mercato (un po’ come il Dg Bevere quando arrivò a guidare la sanità sammarinese?), ha provato a venderlo a chiunque: all’Aston Villa, in Turchia, forse anche al mercatino dell’usato. Lo hanno messo fuori rosa, bullizzato, trattato come un peso morto. Lui, testardo, ha rifiutato tutto. È rimasto nel penultimo calciomercato… E ha puntato i piedi anche nell’ultimo mercato estivo. E oggi? Oggi è uno dei pochi che corre, segna e tira la carretta. La Juventus si salva grazie (anche) a un giocatore che la dirigenza, nella sua onniscienza, voleva cacciare a pedate. Questo non è management, ma è il trionfo del caso sulla competenza.

Ed eccoci al ponte con il Titano. Perché se a Torino ridono (il fronte granata, ovviamente), a San Marino dovremmo tremare. Anche la politica, come il calcio, richiede realismo, onestà e rispetto dei propri limiti. Quando perdi queste tre virtù per inseguire la grandeur, l’arroganza o i “deliri di onnipotenza”, finisci come la gestione Andrea Agnelli: con la bacheca piena di inutili trofei impolverati e la cassa vuota.

San Marino ha già avuto il suo “momento Agnelli”. Si chiamava Cricca. Per inseguire sogni di gloria finanziaria senza avere le gambe per reggerli, ci si è ritrovati con un buco nero. Oltre un miliardo di debito pubblico per tamponare quella devastazione. Un macigno che i ragazzini sammarinesi porteranno per chissà quanto nello zaino scolastico al posto dei libri.

Eppure, la lezione si fatica ad impararla. Si continua a comportarsi come la Juve che comprava la “Ferrari” Ronaldo senza avere i soldi per fare il pieno e trascurando il centrocampo. Mi ricorda tanto, per citare un caso – a caso – il Robot Chirurgico, il “giocattolo” hi-tech perfetto per le foto sui giornali e per risistemare le ernie inguinali. Bellissimo. Evoluto. Ma era la priorità? Era l’investimento migliore per la salute della popolazione, mentre magari mancavano i medici di base o le liste d’attesa si allungavano? Si parla ciclicamente del Nuovo Ospedale da 100 milioni di euro. Un progetto faraonico. Certo che serve, certo che sarebbe una miglioria. Ma è realistico? O è la “Superlega” in salsa biancazzurra? È un progetto bellissimo sulla carta che rischia di schiantarsi contro la realtà di un bilancio che grida pietà, o contro luminari che se ne vanno perché insoddisfatti dai contratti tagliati dalla “spending review”?

La democrazia, di cui San Marino è la madre più antica, è una conquista meravigliosa. Ma se usata male, se affidata a chi confonde i desideri con la realtà, distrugge invece di costruire. Ed è questa la grande responsabilità di ogni sammarinese: scegliere la giusta classe dirigente.

La differenza cruciale tra Torino e il Titano è una sola ed è terribile: quando la Juventus sbaglia tutto e brucia 200 milioni, arriva Exor (la famiglia Elkann) e stacca un assegno per ricapitalizzare. Hanno lo “Zio ricco”. San Marino non ha Exor. Non ha un mecenate che copre i buchi di politiche sbagliate. Ha solo i cittadini, i lavoratori che hanno appena dimostrato, attraverso i loro rappresentanti sindacali, che non rinuncerebbero ad un euro per ricapitalizzare le casse pubbliche o finanziare lo sviluppo del loro Paese. Se si fa il passo più lungo della gamba, se aggiorna il Robot invece di sistemare le basi, se si trattano le risorse preziose come McKennie (scartandole per cercare fenomeni altrove), non arriva nessuno a salvare dalla bancarotta.

Quindi, cari Sammarinesi, e cari governanti, guardate la classifica della Serie A. Guardate i conti della Juve. E prendete appunti. Meglio una San Marino meno “glamour”, senza progetti da 100 milioni che paiono troppo faraonici, ma solida, onesta e capace di valorizzare quel “McKennie” che tiene già in casa, piuttosto che una Repubblica che sogna la Champions League e si sveglia in “mutande”.

Ah, dimenticavo… Ma esiste ancora lo Juventus Club sammarinese?

Enrico Lazzari