Cari amici e amiche (e tutto ciò che sta nel mezzo o ai lati) dell’Associazione 121, innanzitutto grazie. Grazie perché, in un mondo dove spesso si risponde alle critiche con gli insulti o con lo sdegno urlato, voi avete risposto con una nota pacata, argomentata e civile. E questo, credetemi, vi fa onore molto più di mille slogan.
Avete colto nel segno quando dite che nessuno vi critica quando fate “cose serie” (conferenze con l’Università, prevenzione HIV, tutela sul lavoro). E ci mancherebbe altro! Lì fate servizio pubblico, lì siete cittadini che si occupano della res publica. Lì avete il mio applauso, senza se e senza ma.
Il cortocircuito, però, nasce proprio dove voi vedete solo “convivialità” e io vedo “auto-ghetizzazione”. Dite che la “LGBTombola” è solo un gioco di parole simpatico e che serve a creare un “luogo sicuro“ (un safe space, come dicono quelli bravi). Ecco, è proprio questo concetto che mi spaventa e che contesto. Perché se nel 2025, nella placida e civilissima Repubblica di San Marino, sentite il bisogno di creare un recinto specifico per sentirvi “pienamente voi stessi” mentre estraete un numero dal sacchetto, significa che c’è qualcosa che non va nella narrazione.
Creare un “luogo sicuro” per una categoria implica, per logica consequenziale, che il resto del mondo (il bar, la piazza, la tombola della parrocchia) sia un “luogo insicuro“ o ostile. È questo messaggio subliminale che crea divisione. Se organizzate una serata per la comunità, state implicitamente dicendo: “Qui stiamo bene tra noi, fuori ci tollerano ma è meglio stare qui“. È la costruzione di una riserva indiana, magari bellissima, coloratissima e piena di gioia, ma pur sempre una riserva.
Voi dite: “Abbiamo lottato per esprimerci negli spazi pubblici“. Verissimo. Ma la vittoria finale di quella lotta non è colorare lo spazio pubblico con la propria etichetta, è rendere l’etichetta irrilevante. La vera vittoria sarà quando non ci sarà bisogno della LGBTombola per sentirsi a casa, ma quando una coppia gay potrà andare alla Tombola dei Pensionati di Serravalle, tenersi per mano, centrare il terno e sentirsi “al sicuro” tanto quanto nel vostro evento dedicato.
Finché continuerete a mettere il prefisso “LGBT” davanti alle cose normali (che sia un aperitivo, una tombola o una partita a scacchi), continuerete a sottolineare la vostra “eccezionalità”. E l’eccezionalità, alla lunga, stanca. O peggio, divide. La normalità, quella statistica e noiosa, non ha prefissi. È neutra. È di tutti.
Quindi, grazie di cuore per l’invito a partecipare. Rifiuto non per snobismo, né per ostilità, ma perchè San Marino non è la mia meta ricrreativa. Io sogno un mondo (e una San Marino) dove non servano “luoghi sicuri” perché l’intero Paese è un luogo sicuro. Sogno un mondo dove non servano “LGBTombole” perché la Tombola è già di tutti.
Continuate pure a fare il vostro prezioso lavoro serio. Sulle etichette ludiche, permettetemi di restare della mia idea: i recinti, anche se dipinti arcobaleno, restano recinti. E io preferisco i prati aperti.
Buon Natale (senza aggettivi) anche a voi.
Enrico Lazzari
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