Cronaca. Omicidio Mollicone, Mottola in aula: “Siamo innocenti e non abbiamo depistato indagini”

Si è aperta con dichiarazioni spontanee dell’ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce, Franco Mottola, l’udienza di oggi del processo d’appello bis sull’omicidio di Serena Mollicone. Con un intervento lungo e articolato, Mottola ha respinto con forza ogni accusa, ribadendo la propria innocenza e denunciando quello che ha definito un pregiudizio radicato da anni. “Da quasi venti anni si è scatenato contro di noi un veleno che si è sparso nella mente e nel convincimento dell’opinione pubblica; però di contro abbiamo la speranza e la certezza dell’obiettività e della serenità di chi ci giudica per la terza volta. Siamo addolorati e feriti“, ha affermato in aula. L’ex comandante ha chiesto esplicitamente “di essere giudicati e assolti e che siano spiegati e risolti tutti i perché dell’assoluzione”, sollecitando anche “indagini serie per individuare il vero assassino della povera Serena”.

“Solidarietà alla famiglia della ragazza”

Poi un passaggio rivolto alla famiglia Mollicone: “Alla famiglia e ai parenti della povera ragazza esprimiamo la nostra solidarietà per il dolore, anche perché siamo genitori e ben capiamo le loro sofferenze. Della sua morte non sappiamo nulla”. Mottola ha respinto anche l’accusa di depistaggio: “Nego di aver effettuato alcun depistaggio, come mi si accusa”. In merito al prelievo di Guglielmo Mollicone, padre di Serena, ha chiarito: “Ho prelevato Guglielmo Mollicone per portarlo in caserma a firmare alcuni verbali su ordine preciso del capitano Trombetti e, anche se mi è dispiaciuto, ho dovuto farlo perché era un ordine”. E ha aggiunto: “Solo i soggetti disinformati o i soggetti provocatori possono pensare che un maresciallo dei carabinieri possa discutere l’ordine di un capitano dei carabinieri”. Sul ritrovamento di hashish e sul telefono cellulare della vittima, l’ex comandante ha ribadito: “Non so e non sappiamo nulla di chi, quando, come e perché abbia messo l’hashish nel cassetto di Serena, nemmeno la storia del telefonino”.

La versione di Mottola sulla porta della caserma

Riferendosi alla notte tra il primo e il 2 giugno, Mottola ha dichiarato: “Sono andato a casa di Guglielmo Mollicone verso le due su sua precisa richiesta fattami in caserma”. Quanto alla porta della caserma indicata dall’accusa come possibile arma del delitto, ha sostenuto: “Ci penseranno i miei consulenti a dimostrare che la porta non è l’arma lesiva e che Serena non è stata sbattuta contro quella porta”. Proprio sulla porta, Mottola ha fornito una ricostruzione personale, confermando di averla rotta lui stesso: “L’ho rotta personalmente con un pugno dato di piatto, col dorso della mano” dopo una lite con il figlio Marco legata al rendimento scolastico. “Quando mi calmai, per non litigare con mia moglie, presi la porta, la sollevai dai cardini e la portai al piano inferiore, per sostituirla e cambiarla con quella del bagno, dove poi venne trovata”. E ha spiegato una presunta incongruenza: “Un giorno parlando con Suprano gli dissi che l’aveva rotta mio figlio, non vedo perché dovevo dire a un sottoposto che il suo comandante aveva perso il controllo a causa del figlio”.

Le informative

In aula è emerso anche il tema delle informative. Mottola ha ricordato che nel 2007 “consegnai l’informativa a Caprio, quando lui me la restituì mi consigliò di rimodularla, dovevo togliere le parti salienti che riguardavano i carabinieri”. Tuttavia, ha precisato: “Ho ritenuto di non fare nessuna modifica e visto che si trattava di un reato di omicidio la trasmisi al nucleo investigativo che avrebbe dovuto fare dei riscontri tecnici”. Sul punto è intervenuto anche il maresciallo Gabriele Evangelista, che nel 2004 prese il comando della caserma di Arce. Rispondendo sul perché non avesse mai rivelato prima alcuni aspetti, ha spiegato che “non gli era stato mai chiesto”, aggiungendo però che “nell’informativa aveva descritto l’attività di depistaggio ed alcune anomalie”.

“Tuzi si uccise per motivi personali”

Mottola ha infine affrontato il capitolo più delicato, quello della morte del brigadiere Santino Tuzi: “Santino Tuzi si è ucciso per ragioni personali dopo la fine della sua relazione extraconiugale ed è falso che temesse ripercussioni da parte mia se avesse parlato prima. Ha avuto tante occasioni per farlo”. Evangelista ha ripercorso i suoi sospetti, spiegando che “c’era un buon clima in caserma, poi dopo l’assoluzione di Carmine Belli in caserma arrivarono segnalazioni anonime e voci che accusavano i carabinieri”. Secondo il maresciallo, “Tuzi e Suprano cambiarono atteggiamento, furono meno collaborativi”.

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