Mentre i sammarinesi s’interrogano se il Natale porterà più neve o più tasse, bisogna dare atto a Luca Della Balda di aver compiuto un gesto che, da queste parti, ha del miracoloso: ha ascoltato (leggi qui). Quando lo scorso primo agosto, tra un’afa asfissiante e il solito torpore di una politica pigra come un koala dopo un banchetto di eucalipto, lo esortavo a mollare il megafono delle lamentele per mettersi alla scrivania a scrivere una legge (leggi qui), non pensavo che il “soldato Luca” l’avrebbe fatto sul serio. Invece…
Invece la legge c’è, è pronta, ricalca quel modello italiano che di solito guardiamo con la sufficienza dei nobili decaduti e punta dritto al cuore del problema: il sistematico e ottuso rifiuto delle banche di aprire conti correnti a chiunque provi a portare un briciolo di sviluppo sul Titano. Ma qui, signori miei, finisce la cronaca della buona volontà e inizia la tragicommedia del “sistema San Marino”, quella melassa burocratica dove le buone idee vanno a morire in attesa di una “condivisione politica” che puzza di palude lontano un miglio.
Perché, vedete, la proposta di Della Balda – che finalmente punta a obbligare gli istituti a non trattare il potenziale investitore come un appestato e a motivare per iscritto i loro “no” – rischia ora di finire nel tritacarne dei visti, degli emendamenti dell’ufficio complicazioni affari semplici e dei pareri infiniti. Il progetto di legge è fermo ai box, in attesa che il suo partito, la maggioranza, il Governo e quel fitto sottobosco di controllori che risponde ai nomi di Banca Centrale, AIF e ABI, decidano se sia il caso di disturbare i manovratori del credito.
Il sospetto, a pensar male, è che a questi “gendarmi della finanza” la paralisi attuale piaccia un sacco. Un sistema bancario che sbatte la porta in faccia alle imprese e nega i conti correnti a chi vuole investire (ricordiamolo: il conto è l’ossigeno indispensabile per versare il capitale e avviare una società) è un sistema che non dà pensieri ai controllori. Meno correntisti significa meno lavoro, meno segnalazioni e zero rischi per i burocrati. Preferiscono un deserto finanziario “in regola” piuttosto che un’economia che gira e che, inevitabilmente, richiede il coraggio e la competenza di distinguere un investitore serio da un malfattore? In pratica, per non rischiare di sbagliare, han deciso che San Marino deve smettere di respirare?
Ma, mentre a Palazzo si discute del sesso degli angeli, fuori c’è un Paese che sanguina credibilità ogni volta che un imprenditore viene rimbalzato da uno sportello. Il caso del signore italiano che ha buttato novemila euro in consulenze e affitti per sentirsi dire un “no” sbrigativo e insindacabile dalla direzione di una banca è una biopsia impietosa del “cancro” che mina lo sviluppo (leggi qui). Non si è solo perso un investimento e qualche posto di lavoro; si è indotto un uomo a raccontare una storia dell’orrore che riecheggerà in tutto il mondo economico d’oltre confine.
Immaginatevelo, questo imprenditore, mentre spiega ai colleghi a Milano o a Bologna che sul Titano le banche si comportano come buttafuori di un club esclusivo: ti guardano le scarpe e il colore dei calzini prima di decidere se puoi pagare il biglietto ed entrare nella danza. È un passaparola tossico, una lettera scarlatta che marchia la Repubblica e distrugge decenni di chiacchiere sull’internazionalizzazione. Ogni conto negato senza motivo è un messaggio che urla al mondo: “State lontani, qui l’impresa è un disturbo alla quiete pubblica”.
San Marino ha un debito pubblico che somiglia al conto di un addio al celibato folle a Las Vegas e, per pagarlo, servono aziende che producono gettito, non banche che fanno le schizzinose con i capitali altrui. Eppure, la politica continua a comportarsi come una damigella indecisiva, incapace di togliere il volante dalle mani di banchieri che hanno paura della propria ombra e di autorità di vigilanza che sembrano godere dell’immobilismo generale.
Della Balda ha acceso la miccia, ma se il Governo e i vertici del sistema continuano a nascondere la proposta sotto il tappeto – magari per non scontentare i signorotti dei caveau – allora tanto vale chiudere tutto e trasformare il Monte in un museo di glorie passate.
Cari inquilini del Palazzo, smettetela di tagliar nastri e iniziate a tagliare le catene di questo sistema medievale. Se non portate questa legge in Consiglio con l’urgenza di chi ha la casa che brucia, abbiate almeno la decenza di tacere sulla “San Marino attrattiva” e calatevi appieno nella parte dei guardiani di un castello vuoto. Mentre voi cercate la “condivisione”, gli ultimi investitori stanno già scendendo dal monte senza voltarsi indietro. Il sipario sta calando e stavolta il pubblico non fischia: se n’è già andato via disgustato.
Enrico Lazzari












