Non si è ancora dimesso per davvero. E nonostante dal Vaticano gli sia arrivata addosso, ieri, la bordata finale. La seconda in pochi giorni. Un colpo secco, sparato dall’
Osservatore Romano, che ha scomunicato di nuovo (un record assoluto) l’operato di Ignazio Marino, sindaco di Roma. «La Capitale, a meno di due mesi dall’inizio del Giubileo, ha la certezza solo delle proprie macerie. Roma non merita tutto questo». Accipicchia. Forse, però, Roma non meritava neppure l’ennesimo giallo sulle dimissioni del primo cittadino. Per tutta la giornata di ieri, infatti, è stata caccia grossa al protocollo in cui venivano formalizzate le dimissioni del sindaco. Nessuno le trovava e la presidente dell’assemblea capitolina, Valeria Baglio, aveva sottolineato: «Finché non le consegna nelle mie mani, quelle dimissioni non esistono». Panico. Acuito dalle aperture di Sel: «Se Marino decide di proseguire, noi siamo con lui». Terrore vero dentro le stanze del Pd romano. Marino che fa, prova a resistere? Dal Nazareno è partito – di nuovo – il mandato agli assessori dimissionari Esposito e Causi di capire che cosa stesse avvenendo. Poi la schiarita: il sindaco formalizzerà le dimissioni lunedì 12 ottobre. Da quel momento scatterà il periodo di 20 giorni per poterle ritirare. Venti giorni in cui il Pd, abbastanza certo oggi sul fatto che Marino «non farà scherzi», terrà comunque «gli occhi bene aperti». L’ormai ex sindaco, infatti, progetta di restare in politica, magari rompendo le uova nel paniere al Pd con una propria lista di contrasto alle prossime elezioni. «Sì, sta pensando ad una ‘lista Marino’ – giurano persone a lui vicine – sicuro di avere ancora un consenso forte in città». Amara la sua valutazione su come è stata condotta dal Pd la partita per farlo fuori: «Pur di cacciarmi dal Campidoglio – ha detto a La Stampa – mi avrebbero messo della cocaina in tasca». Pessimo clima, dunque, quello che accompagna Marino nella (lenta) uscita dalla scena romana. Il Pd ha deciso di isolarlo. Senza il timore che, quel movimento di opinione che si è creato per spingerlo a ripensarci, possa aggravare la situazione favorendo un colpo di scena.
MARINO, però, è ancora lì. Ieri, come ogni mattina, è uscito di casa ed è arrivato in Campidoglio con una scorta raddoppiata (5 macchine anziché 3). «Sto molto bene – ha detto ai cronisti – vado a celebrare un matrimonio». Quello di Jamie e Matteo, due amici a cui ha letto una poesia di Neruda. Poi nel pomeriggio una lunga riunione in Campidoglio con gli assessori per mettere in fila i provvedimenti da chiudere. E per pianificare le querele ai giornali che gli hanno messo in bocca parole grondanti vendetta: «Smentisco categoricamente di aver detto che adesso aprirò agende e quaderni per dire chi mi ha chiesto favori, si tratta di falsità che non ho mai mai pronunciato». Sempre in quel contesto, ha firmato l’assegno di circa 20mila euro, come aveva annunciato, per pagare le spese effettuate con la carta di credito del Campidoglio. Questo però non fermerà il lavoro della Procura sulla questione dei rimborsi: c’è la possibilità che il sindaco sia indagato per peculato.