
La cronaca racconta il primo, deciso scontro tra Mario Draghi e l’Europa. Senza precedenti da quando l’ex numero uno della Bce, ormai lo scorso febbraio, si è insediato a Palazzo Chigi. La politica, invece, lascia pensare a un premier che si è mosso con una lungimiranza niente affatto scontata, facendo suo – per primo – un sentiment abbastanza condiviso da buona parte dei leader dell’Ue. L’accelerazione dell’Italia – che ha blindato i suoi confini imponendo i tamponi alle frontiere anche ai vaccinati (e la quarantena per i no-vax) – è stata infatti duramente contestata dalla Commissione Ue. Non a caso, per tutta la giornata di ieri sono rimbalzate da Bruxelles le perplessità della Commissione che lamentava di non aver «ricevuto» alcuna «notifica» da Roma sull’ordinanza italiana del tampone obbligatorio per l’ingresso in Italia. D’altra parte, gli Stati dell’Ue sono obbligati a informare l’Unione su eventuali modifiche e restrizioni nei viaggi tra i Paesi dell’Unione. Il fastidio della Commissione per la linea scelta dall’Italia – approvata nel Consiglio dei ministri di martedì scorso e ribadita ieri con forza da Draghi in Parlamento – si limita insomma a una questione di forma. «Non c’è stata alcuna notifica», è il primo alert che arriva da Bruxelles. «Le restrizioni siano di breve durata», è il secondo messaggio che viene recapitato a Roma, che già ha approvato la stretta fino al 31 dicembre. Nel primo pomeriggio, insomma, sembra che si vada verso un vero e proprio scontro frontale tra Italia e Europa, peraltro proprio alla vigilia del Consiglio Ue che si terrà oggi a Bruxelles. Riunione sulla quale, si vocifera in tarda mattinata, «impatterà» la decisione di Palazzo Chigi di approvare unilateralmente restrizioni sui movimenti tra l’Italia e il resto dell’Unione. In verità, Roma avrebbe dovuto dare una comunicazione formale con «48 ore» di preavviso e invece lo ha fatto solo 36 ore prima. Un dettaglio.
Peraltro, molti leader Ue sono sulla linea di Draghi. Ieri sera, infatti, sono state diverse le interlocuzioni delle diplomazie (che hanno coinvolto anche il ministro della Sanità, Roberto Speranza). E l’impressione è che oggi nessuno chiederà conto all’Italia di un’accelerazione che in verità condividono in molti. Magari c’è stato un problema di forma, certo. Una mancanza di comunicazione con Bruxelles. Ma nel merito molti sono d’accordo e preoccupatissimi per l’arrivo della variante Omicron. In Italia, è il calcolo di Palazzo Chigi, «abbiamo quindici, forse venti giorni di vantaggio nella diffusione della variante rispetto al resto d’Europa». Ecco perché, ripete Draghi, dobbiamo «stringere» e non sprecare giorni che vanno dedicati a immunizzare con la terza dose.
Una linea che l’ex numero uno della Bce ribadirà oggi al Consiglio europeo. Sotto il profilo epidemiologico – questo dicono i dati – l’Italia è in una situazione invidiabile. Ma, se davvero a Bruxelles si aprisse una discussione sulle nuove restrizioni, Draghi è pronto a tenere il punto. Per diverse ragioni. In primo luogo, perché la scelta dell’Italia è lecita e arriva dopo un’analoga decisione di Portogallo e Irlanda. Secondo, perché l’Ecdc il Centro europeo per la prevenzione sulle malattie consiglia di affiancare al vaccino altre restrizioni. E infine perché la quarantena potrebbe spingere viaggiatori e lavoratori diretti in Italia e provenienti da Paesi poco immunizzati (come Austria, Bulgaria, Polonia e Ungheria) a dotarsi del vaccino.
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