Non voglio offendere nessuno. E non è mia intenzione fare processi pubblici o personali. Ma voglio esprimere un pensiero che mi porto dietro da mesi. Un pensiero che non nasce dal pregiudizio, ma da decine di conversazioni dirette con politici di ogni area, di governo e di opposizione, gente che oggi decide o aspira a decidere il futuro del nostro Paese.
La mia convinzione è netta: l’accordo di associazione con l’Unione Europea, a San Marino, non lo conosce quasi nessuno. Parlo di chi siede in Consiglio, nelle Segreterie, nei direttivi dei partiti. Parlano tutti di Europa, la citano, la sventolano come fosse un vessillo sacro. Ma pochi, se non. pochissimi, hanno letto davvero l’accordo, gli allegati, le clausole, gli obblighi che ci legherebbero mani e piedi a Bruxelles e Roma.
E questo è gravissimo.
Gravissimo perché stiamo decidendo del nostro futuro, della nostra sovranità, dei nostri rapporti internazionali, senza che i decisori abbiano fatto nemmeno lo sforzo di studiare. Di leggere. Di capire. E se provi a entrare nel merito, li spiazzi. Li destabilizzi. Perché non hanno le risposte. Perché non le conoscono.
Molti si sono dichiarati favorevoli all’accordo non per convinzione, ma per convenienza. Per rimanere al governo, per non rompere gli equilibri interni ai partiti, per non scontentare chi conta, qui o altrove. E questo è altrettanto grave.
Dall’altra parte, c’è un’opposizione che non si oppone più. Anzi, inizia a strizzare l’occhio all’associazione, magari sperando in un rimpasto, in una nuova maggioranza, in una finestra di potere. È la politica del posizionamento, non delle idee.
E allora succede questo: una corsa a chi è più europeista degli altri, una sfida ipocrita a chi si inginocchia meglio davanti al totem dell’Unione. Ma senza mai entrare nel merito. Senza mai fare domande vere. Perché disturbare il manovratore, oggi, significa essere messi da parte. Lo sa bene Motus, fatto fuori dal governo per aver osato esprimere qualche dubbio. Per aver avuto il coraggio di chiedere trasparenza, chiarezza, garanzie.
Siamo arrivati al punto in cui l’europeismo cieco è l’unica posizione politicamente accettabile. Se non sei europeista, ti danno dell’antieuropeista, ti tolgono la parola, ti lasciano fuori. Anche se ami San Marino più di tutti. Anche se vuoi semplicemente capirci qualcosa.
Io non ci sto.
San Marino non è un quartiere di Bruxelles. Non è una provincia italiana. È uno Stato sovrano, con una sua storia, una sua identità, una sua fierezza. E la sovranità non si baratta. Non si firma un accordo epocale solo per fare bella figura con i commissari europei o con qualche ambasciatore. Si firma solo se è giusto, se è utile, se porta benefici chiari e concreti per il Paese.
E qui veniamo a Luca Beccari, Segretario agli Esteri. Lo ripeto con forza: non ce l’ho con lui. Non è un attacco personale. Ma le responsabilità politiche vanno dette, anche quando sono scomode.
Beccari, da tempo, non ne azzecca una: sembra politicamente bollito! Dalla gestione delle residenze non domiciliate (con tanto di marcia indietro), alle sanzioni alla Russia (decise senza consultare il Paese), fino alla totale mancanza di risultati concreti in politica estera. San Marino oggi è più isolato che mai perché ha scelto solo l’Europa! E non certo per colpa di chi chiede prudenza sull’accordo europeo o vuole accordi mirati, quelli che ci fanno comodo, con la UE.
Beccari sembra guidato più dal desiderio di lasciare un’impronta personale che da un vero interesse per il bene del Paese. L’impressione – sempre più diffusa – è che voglia essere ricordato come colui che ha “portato San Marino in Europa”. Ma a quale prezzo?
Perché diciamolo: l’Europa non ci ha chiesto di firmare questo accordo. Siamo stati noi, o meglio lui, a volerlo. A inseguirlo. A spingerlo. Senza un mandato chiaro del popolo. Senza una consultazione vera. Senza un dibattito trasparente.
E oggi, nel 2025, l’Unione Europea non è più un modello. È un colosso stanco, burocratico, sbilanciato, che affonda tra politiche migratorie fuori controllo, normative green scritte da tecnocrati scollegati dalla realtà, e un’economia una volta potente, oggi sempre più fragile.
Vogliamo davvero legarci mani e piedi a questo meccanismo?
Vogliamo davvero diventare uno Stato satellite, controllato da Bruxelles e da Roma, costretti a recepire norme, regolamenti, vincoli, a rinunciare alla nostra giustizia, alla nostra neutralità, alla nostra libertà?
Se la risposta è sì, almeno abbiate il coraggio di dirlo. Di metterlo nero su bianco. Di affrontare un referendum. Ma basta con questa farsa. Basta con il teatrino di chi finge di sapere e poi, in privato, ammette di non aver letto nulla. Basta con la politica dei ruffiani, degli equilibristi, dei furbetti del posizionamento.
Il Paese non si guida così. San Marino non è una merce di scambio per fare carriera. Chi siede in Parlamento o in Congresso deve dire la verità, metterci la faccia, studiare, approfondire, avere il coraggio di fare scelte impopolari se sono giuste, o di bloccare scelte popolari se sono sbagliate.
Io ho il dovere di dirlo. E non sono il solo a pensarla così ma un intero paese, quello che pensa con la propria testa e sceglie il futuro migliore per sé e per i propri figli. Il malcontento cresce, la gente apre gli occhi, e sempre più cittadini iniziano a farsi domande vere. Forse in ritardo, ma lo fanno.
Ecco perché ho scritto questo editoriale. Perché San Marino merita la verità. Merita dignità. Merita politici che sappiano dire di no. E non solo piegarsi per non perdere la poltrona.
Marco Severini – direttore GiornaleSM