Accordo SAN MARINO-ANDORRA/UE. La politica ha il dovere di fermarsi, di ascoltare, di spiegare. E il popolo ha il diritto di decidere. Con un referendum. Con una consultazione vera. Non con una firma clandestina di Beccari … di Marco Severini

A San Marino siamo liberi da sempre. È la nostra storia. È la nostra forza. Una libertà conquistata, difesa e vissuta per secoli. Ma oggi quella libertà viene barattata, silenziosamente, nel nome di un “accordo di associazione” con l’Unione Europea che ci promette grandi benefici, ma che nei fatti rischia di trasformarsi in una gabbia giuridica, economica e politica.

Una gabbia pensata non per tutti, ma per pochi.

Un compromesso che serve solo a chi ha già tutto: i grandi industriali, le élite che già accedono a ogni mercato, a ogni risorsa, a ogni vantaggio. Per loro si spalancano le porte dell’Europa, mentre per il resto del paese si chiudono quelle della sovranità.

Sembra incredibile che in un’epoca in cui i valori di democrazia, sovranità e dignità nazionale dovrebbero essere intoccabili, San Marino stia per consegnare buona parte del suo futuro nelle mani di chi più di ogni altro ha già vinto tutto. Dopo oltre otto anni di negoziati iniziati nel 2015, accelerati con il pretesto del conflitto russo-ucraino nel 2022 e chiusi nel 2023 con un testo da 300 pagine, ci troviamo di fronte a un trattato che non tutela i deboli ma rafforza i poteri forti.

Che non garantisce equità ma privilegia chi è già in cima.

Che non difende la Repubblica ma la espone.

E tutto questo, mentre il Segretario di Stato Beccari si muove con opacità, senza trasparenza, senza confronto, senza rispetto per l’intelligenza del popolo sammarinese.

All’apparenza sembra un traguardo storico: far partecipare San Marino al mercato interno UE come Norvegia, Islanda e Liechtenstein. Ma dietro la retorica dell’inclusione si nascondono le involuzioni più gravi: apertura indiscriminata a imprese estere, compromissione della sovranità, sottoposizione alla Corte di Giustizia Europea, vigilanza bancaria ceduta all’Italia ed allineata a standard insostenibili per la nostra realtà.

Le nostre imprese artigiane, i commercianti, le botteghe, rischiano di venire spazzati via dai colossi europei, che dettano regole, impongono prezzi, assorbono spazi. I cosiddetti “periodi di transizione” non bastano. L’impatto è già scritto: chi è piccolo soccombe.

E non si tratta solo di economia. Si tratta della nostra identità.

Del nostro diritto a decidere, a scrivere le nostre leggi, a scegliere i nostri giudici. Già abbiamo ceduto molto e che hanno anche portato benessere: l’unione doganale, il patto monetario, accordi fiscali. Ma adesso ci chiedono di fare un salto irreversibile: accettare una giurisdizione esterna che potra’ imporre norme, modificare sentenze, ribaltare decisioni.

Ma perché? Per chi? Per quale vantaggio collettivo? C’è forse un referendum? Un dibattito pubblico? No. Solo riunioni private, conferenze autoreferenziali, comunicati stampa pilotati ed articoli farlocchi. E dietro, i soliti noti: industriali, affaristi, politici di lungo corso che vedono in questo accordo l’ennesima occasione per consolidare potere e affari a danno della gente, dei cittadini della Repubblica di San Marino. 

San Marino ha già aderito alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E ha fatto bene. Quella è una scelta che ci ha resi più civili, non meno liberi. Ma l’accordo con l’UE non è una CEDU 2.0. Lì si parlava di valori. Qui si parla di soldi. Di potere. Di controllo sui flussi. Di omologazione forzata. Lì si tutelavano i cittadini. Qui si garantisce accesso al nostro territorio a chi vuole solo sfruttarlo.

San Marino non può diventare terreno di conquista.

Non possiamo permettere che un sistema pensato per 500 milioni di abitanti venga scaricato su una realtà di poche decine di migliaia. Il nostro mercato è troppo fragile, troppo esposto. Basta un supermercato straniero, una banca d’investimento, una catena europea ben capitalizzata, e decine di imprese locali vengono spazzate via. E quando l’equilibrio locale salta, salta anche il tessuto sociale. Salta la fiducia. Salta l’autonomia.

Qualcuno dice che dobbiamo per forza scegliere: o dentro o fuori. Ma non è così.

Già oggi viviamo rapporti strettissimi con l’Europa. Abbiamo l’euro, accordi bilaterali, convenzioni fiscali, scambi culturali. Non siamo isolati. Semplicemente, non vogliamo essere ingabbiati.

Non vogliamo cedere il potere di decidere su giustizia, finanza, concorrenza, ai palazzi di Bruxelles.

Vogliamo essere noi a scegliere. Di volta in volta. In base ai nostri interessi. Non in blocco. Non sotto ricatto.

Io dico sì agli accordi monotematici.

Sì a trattati specifici. Se servono strumenti per Erasmus, firmiamo per Erasmus.

Se serve un ponte commerciale, costruiamolo.

Se c’è bisogno di uno scambio sulla salute o sulla mobilità, ben venga.

Ma non svendiamo tutto in un colpo solo.

Non cancelliamo la nostra storia, la nostra forza, la nostra voce.

La politica ha il dovere di fermarsi, di ascoltare, di spiegare. E il popolo ha il diritto di decidere. Con un referendum. Con una consultazione vera. Non con una firma clandestina.

San Marino non è un laboratorio per tecnocrati.

Non è una colonia economica.

Non è una moneta di scambio per ambizioni personali.

È una Repubblica. È la più antica del mondo. Ed è ancora viva. Ancora fiera. Ancora capace di dire no. Questo trattato, così com’è, è un errore storico. Va fermato. Prima che sia troppo tardi.

Marco Severinidirettore GiornaleSM