Negli ultimi giorni si è consumata una vicenda che merita di essere raccontata dal principio, perché rivela molto dello stile e della maturità professionale di chi la ha alimentata.
Un giornalista andorrano, con cui avevamo collaborato in buona fede, ha reagito in modo totalmente sproporzionato al fatto che alcuni media del suo paese abbiano ripreso i nostri editoriali sull’Accordo di Associazione UE–San Marino–Andorra.
Editoriali in cui spiegavamo, con dati alla mano, che l’accordo è entrato in una fase di seria difficoltà perché, con la sempre più probabile classificazione come accordo misto, il testo dovrà quasi sicuramente essere approvato da tutti i 27 Stati membri dell’Unione Europea. Un’odissea procedurale che può durare anni, con un rischio concreto, documentato e per tutto remoto: basta un solo Parlamento nazionale a votare contro, e l’accordo semplicemente non entra più in vigore. Tutta questa fatica per niente!
La libertà editoriale è una dinamica normale, prevedibile, fisiologica nel mondo dell’informazione. Eppure, per ragioni che appartengono più alla sfera emotiva che a quella professionale, questo ha scatenato una sequenza di comportamenti che nulla hanno a che vedere con il giornalismo.
Prima la crisi privata su WhatsApp, dove il giornalista ha usato toni più simili a una discussione di coppia che a una conversazione del mondo dell’Informazione. Messaggi come “O sei con me o sei contro di me”, “Mi ha fatto male che tu abbia pubblicato quella cosa (un articolo di Diarii di Andorra) senza dirmelo”, “Credevo che ci dovessimo reciprocamente lealtà”, e addirittura “Trovo sospetto che tu abbia collaborato con altri organi di stampa qui” (che non è vero) mostrano una pretesa assurda: che l’informazione debba passare attraverso un rapporto personale di fedeltà, anziché attraverso la libertà editoriale.
Una pretesa che, nel giornalismo, non esiste.
E quando gli è stato risposto con serenità e professionalità — “Noi siamo indipendenti e pubblichiamo ciò che vogliamo”, “Non abbiamo dato nulla a nessuno”, “Non vogliamo queste scenate” — lui ha rilanciato, trasformando quella irritazione privata in un attacco pubblico, con un articolo sul suo giornale on line.
Non pago delle accuse via chat, ha pubblicato persino un articolo denigratorio, insinuando “manipolazioni”, “allarmismi infondati”, e cercando di delegittimare GiornaleSM con un tono tanto sprezzante quanto immotivato. Un articolo costruito non sui fatti, ma sul fastidio: quello di vedere i suoi concorrenti interni rilanciare contenuti che provenivano da noi. E così ha deciso di attaccare oltre ciò che è stato scritto anche chi lo ha scritto. Con il risultato di rivelare esattamente ciò che voleva nascondere: il problema non era l’informazione, ma la sua gelosia professionale.
Sarebbe bastato informarsi. GiornaleSM non è un sito nato ieri. È online da quasi vent’anni e da alcuni mesi, con decine di collaboratori, editorialisti, analisti, oltre 3 milioni di visualizzazioni al mese su Facebook, un archivio sterminato e una storia fatta di inchieste, documenti esclusivi e fatti che nessuno, a San Marino, ha avuto il coraggio di pubblicare prima.
In vent’anni non ricordiamo una sola smentita obbligata, né una rettifica forzata, né una bufala a noi attribuita.
Il nostro modello, per precisa scelta aziendale, è quello del sito di informazione indipendente, non quello della testata ingabbiata, controllata, normata.
I nostri scoop hanno fatto cadere assetti di potere veri, solo per citarne alcuni tra i centinaia pubblicati, dalla cricca politico-finanziaria che ha portato alla condanna di finanzieri anche esteri e di un giudice del tribunale di San Marino, sino alle recenti operazioni che hanno portato a due arresti cautelari nel caso dei cosiddetti “bulgari” che volevano comprare una banca sammarinese.
Pubblicare, verificare, documentare: questo è il nostro mestiere. E lo facciamo con prove inconfutabili, come sempre.
Per questo certe scene non ci impressionano. L’informazione non è un rapporto sentimentale, non prevede “lealtà reciproca” né ci interessa, non funziona con il metodo del “o sei con me o sei contro di me”.
Funziona con la libertà.
Funziona con la professionalità.
Funziona con i fatti.
E se un giornalista confonde la sua battaglia politica con la necessità di controllare cosa pubblicano gli altri, allora il problema non è l’informazione: il problema è il suo modo di intendere l’informazione.
Il suo attacco pubblico, costruito senza prove e senza conoscere la storia editoriale di GiornaleSM, è stato un autogol perfetto.
Invece di mettere in discussione il nostro lavoro, che resta libero, indipendente e fondato su documenti veri, ha messo in discussione il suo.
Ha mostrato che basta una notizia rilanciata da un altro media andorrano per fargli perdere la calma.
E che basta non controllare un contenuto per attaccare chi lo produce.
Noi continueremo a fare ciò che facciamo da vent’anni: pubblicare con rigore, indipendenza e rispetto per la verità.
Non prendiamo ordini da governi, da partiti, da poteri economici e, meno che mai, da giornalisti esteri irritati per un contenuto che ha avuto risonanza nei media a lui concorrenti.
La nostra linea non cambia: noi facciamo giornalismo, altri che facciano quello che vogliono!
A noi non interessa.
Marco Severini – direttore GiornaleSM















