Adesso la Libia vuole ripartire dal trattato di amicizia con l’Italia. Il piano di Berlusconi…

Di elementi di novità, lungo l’asse Roma – Tripoli, l’estate 2018 ne ha portati parecchi. A partire dalle rappresentanze diplomatiche dei rispettivi paesi e dagli ambasciatori. Il primo agosto infatti viene nominato il nuovo ambasciatore libico in Italia. Passano pochi giorni e scoppia il “caso Perrone“, con l’allora nostro rappresentante a Tripoli che a causa di un’intervista viene considerato persona non gradita da Haftar e, in parte, anche nella stessa Libia occidentale. Il 10 agosto la Farnesina richiama Perrone a Roma ufficialmente per motivi di sicurezza. Devono passare quasi cinque mesi prima della nomina di un suo successore. Nel frattempo l’Italia ottiene il via libera dagli Usa per il comando di un’ipotetica cabina di regia sulla Libia e, a Palermo, ha luogo a novembre il vertice culminato con la stretta di mano tra Al Sarraj ed Haftar. Molta carne al fuoco dunque ed a commentare le ultime evoluzioni, in un’intervista a La Stampa, è l’ambasciatore libico a Roma, Omar Tarhuni.

“Ripartire dal trattato di amicizia”

Le parole del rappresentante libico appaiono positive sia in relazione ai rapporti con l’Italia che, soprattutto, in relazione ai rapporti interni al frastagliato quadro libico: “Rappresento tutta la Libia“, dichiara infatti Tarhuni. Un modo per indicare il fatto che a Roma l’ambasciatore non lavora soltanto per onorare le posizioni del governo facente capo ad Al-Sarraj, che lo ha nominato, ma per rappresentare l’intero Paese. Dunque anche Haftar, il parlamento d Tobruk, l’Alto consiglio di Stato e tante altre parti che attualmente compongono lo scacchiere del Paese africano. Una frase non di circostanza e non certamente scontata, alla luce delle difficoltà di un dialogo interno alla Libia che comunque va avanti in direzione della conferenza nazionale prevista a gennaio.

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