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Un deciso cambio di passo capace di fare tesoro delle problematiche delle scorse settimane, di sfruttare il mutato quadro politico e di governance in Europa e di mobilitare le risorse nazionali verso il successo della campagna: su queste tre premesse il governo di Mario Draghi è orientato a affrontare la sfida della distribuzione dei vaccini nel Paese.
Incertezze politiche, difficoltà di coordinamento tra governo ed enti locali e contingenze legate al mancato afflusso della quota prevista di vaccini prodotti da Pfizer e AstraZeneca hanno reso assai complesso l’incedere della marcia ai tempi del governo di Giuseppe Conte e mostrato le difficoltà della struttura commissariale guidata dall’ad di Invitalia, Domenico Arcuri, affaticata dall’eccessivo carico di responsabilità e dai problemi organizzativi.
Draghi si è confrontato nei primi giorni del suo governo con una delegazione di ministri (Giancarlo Giorgetti, Roberto Speranza, Mariastella Gelmini, Stefano Patuanelli, Dario Franceschini) per dare via al cambio di passo che partirà dall’integrazione orizzontale tra tutti i passaggi critici della campagna vaccinale: a una riorganizzazione della strategia di conservazione e distribuzione, infatti, si aggiungerà una spinta sulla produzione nazionale degli antidoti per il contrasto al Covid-19. In tal senso, lo stimolo all’azione nazionale si faceva impellente da tempo e, anche in prospettiva del futuro arrivo in operatività del vaccino Reithera a tecnologia italiana, appare coerente avviare una strategia nazionale per verificare le risorse a disposizione e predisporre il tessuto industriale alla prodzione dei vaccini.
Giovedì è previsto l’incontro al Ministero dello Sviluppo Economico tra Giancarlo Giorgetti e l’associazione di categoria Farmindustria e comprendere i margini di manovra del sistema-Paese, ovvero verificare in che misura gli impianti italiani possono procedere a produrre componenti per i vaccini presenti e futuri, come l’impianto della Gsk vicino Siena sarebbe pronto a fare qualora venisse approvato il vaccino russo Sputnik V, o se attualmente è la procedura dell’infialamento la parte della catena del valore su cui specializzarsi. In questo contesto, il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha avallato l’idea di derogare ai diritti di proprietà intellttuale qualora proseguissero casi di abuso degli accordi stipulati con le aziende di Big Pharma. Ma, spiega Il Sole 24 Ore, “eventuali interventi in questo campo saranno parte dell’iniziativa europea” che sta venendo coordinata dal super-commissario all’Industria Thierry Breton, “e non dei singoli Stati”, che avranno invece competenze sul sostegno economico alle imprese che riconvertiranno le linee produttive.
Piani su cui il governo Conte II ha tergiversato si impongono ora come necessari. Mentre la Germania presenta il nuovo impianto Biontech di Marburgo da 750 milioni di dosi l’anno, la Francia acquisisce grazie a Sanofi la possibilità di produrre su licenza il vaccino Pfizer e il Regno Unito insegna il valore del controllo strategico su una filiera nazionale di vaccini l’Italia si trova a dover colmare i vuoti di mesi di impreparazione. Una strategia che deve guardare soprattutto all’avvenire, alla possibilità di creare una riserva strategica di vaccini per prevenire ricadute nella pandemia o trasformazioni del virus in un fenomeno stagionale e ciclico.
La via al rafforzamento della capacità industriale del Paese nel settore farmaceutico si deve necessariamente accompagnare a un rilancio della campagna di distribuzione e inoculazione dei vaccini che troppo spesso è risultata insoddisfacente in Italia. Nel suo discorso al Senato Draghi ha detto: “Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private”.
Ciò potrebbe comportare un ampliamento dell’Operazione Eos condotta dalle forze armate per la tutela delle filiere logistiche e della distribuzione dei vaccini all’individuazione di hub specifici per aumentare, anche portando su 24 ore al giorno i turni, la proiezione della campagna di profilassi. Addio alle “primule” di Arcuri, dunque, in favore di una strategia pragmatica e realistica, con l’individuazione di caserme, palazzetti dello sport, edifici pubblici non utilizzati, hub di aeroporti e altri spazi da trasformare in altrettanti presidi di vaccinazione. Il primo hub di questo tipo è stato allestito in tre settimane alla cittadella militare della Cecchignola, a Roma, e potrebbe fornire un modello di operatività. Un’altra strada passa per la riconversione alle vaccinazioni dei presidi per tamponi drive-in presenti in diverse città. Un ampliamento su scala civile di quanto fatto sul fronte interno dalle forze armate, che hanno giocoforza dovuto individuare delle strutture ad hoc per la campagna di vaccinazione per i loro militari. La Stampa ha citato, a titolo d’esempio, il fatto che in Piemonte ila struttura del Primo Reggimento Piemonte a Moncalieri sta svolgendo il ruolo di punto vaccinale regionale per l’Arma dei Carabinieri, mentre l’Esercito porta avanti un coordinamento a livello regionale imperniato sull’ex Ospedale militare Riberi di Torino.
Più organicità nell’azione, coordinamento tra le diverse fasi del processo e controllo nazionale della maggior parte possibile della filiera vaccinale che va dalla produzione all’inoculazione: il governo Draghi ha le idee chiare e, anche se sarà complesso tradurre ogni azione in realtà, la speranza di un cambio di passo dopo le incertezze dell’era Conte è concreta. In tal senso l’industria nazionale e gli apparati della Difesa appaiono come i pilastri attorno cui edificare una strategia nazionale che guardi sia alla campagna d’immunizzazione presente che alle sfide del futuro. La vera ricostruzione passa, obbligatoriamente, per una vittoriosa campagna vaccinale che appare la premessa per poter rilanciare l’economia e la società nazionali. Una seria programmazione strategica è il necessario presupposto per affrontare questa sfida.
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