Giallo sull’intervento diretto in battaglia. «C’è l’ok di Obama.
Le immagini che circolano sulla rete sembrano non lasciare dubbi. Soldati russi con mezzi pesanti e aerei starebbero combattendo in Siria al fianco del lealisti del presidente Assad a difesa soprattutto della sua città natale di Latakia nel Nord est del paese. Il silenzio americano su questo coinvolgimento di Mosca nel conflitto potrebbe lasciare intuire che, così come i droni e i jet di Obama possono colpire le postazioni dell’Isis senza dare dettagliate informazioni al governo di Damasco, la presenza accertata di truppe russe e specialisti militari del Cremlino in Siria finirebbe per diventare una sorta di ‘scudo’ contro eventuali tentazioni del Pentagono che potrebbe incontrare l’opportunità dal cielo di colpire sia i terroristi del califfato ma anche le forze del regime che proteggono Assad.
NEI CORRIDOI dell’Onu, così come sulle linee dei molti fronti siriani si avverte una spinta verso un blocco della ostilità fra opposizione e regime che trasformi la guerra in una grande fotografia sul controllo del territorio (con esclusione dell’Isis) da tradurre in una base di partenza per il dialogo. Un’ipotesi ricercata da Mosca che non esclude possa portare in tempi brevi a nuove elezioni.
America, Francia e Inghilterra continuano a considerare almeno ufficialmente irricevibili eventuali piani di tregua che l’inviato speciale dell’Onu De Mistura sta faticosamente mettendo insieme facendo la spola da una fazione all’altra, se non prevedono l’immediata uscita di scena di Assad. In realtà il pragmatismo di guerra, e la consapevolezza che non ci può essere una soluzione militare del conflitto – col rischio di vedere nuovamente in azione le armi chimiche questa volta manovrate dai terroristi dell’Isis – potrebbe indurre sia Usa che Russia a più energici compiti di protezione territoriale. Gli uomini del Pentagono aiutano le forze dell’opposizione cosiddetta moderata a non perdere le aree conquistate e dall’altro i militari del Cremlino tentano di frenare le perdite di Assad assicurando al regime un’autorità territoriale sufficiente per affrontare un negoziato che porti ad una transizione condivisa.
SFIDANDO gli sguardi polemici della Casa Bianca, Ban ki moon ha partecipato ieri alla grande parata militare di Pechino incontrando tutte le massime autorità cinesi e Putin. Ban sa che l’Onu può sperare di incanalare la crisi dei migranti, solo se ci sarà prima il cessate il fuoco in Siria. Vuole che Mosca e Pechino spingano Damasco ad un dialogo accettabile. Tutti sono tuttavia consapevoli che la guerra non avrà fine se anche l’Iran non verrà legittimato al più presto, soprattutto dopo l’intesa nucleare, a diventare uno strategico giocatore della partita. Obama lo sa, i satelliti Usa hanno visto i carri armati russi e i jet del Cremlino in Siria, ma lui non è insorto. Anzi quella russa e americana potrebbe diventare una condivisa azione a tenaglia mirata a dividersi i territori dell’Isis. L’appuntamento di New York per l’assemblea generale dell’Onu ha tutti gli elementi per diventare un’occasione di disgelo tra Vladimir e Barack.
Fonte: IL CORRIERE DELLA SERA