Ai-Da, la prima robot-artista umanoide, sta per entrare nella storia del mercato dell’arte con la vendita del ritratto di Alan Turing, una figura emblematica della tecnologia e della scienza, alla prossima asta di Sotheby’s. Realizzata con tecniche avanzate di intelligenza artificiale, telecamere e mani bioniche, Ai-Da rappresenta un caso unico che solleva quesiti fondamentali sull’interazione tra uomo, macchina e arte. L’opera, intitolata “AI God” è stata stimata tra 100.000 e 150.000 sterline e riflette la complessità di Turing, i cui studi sugli algoritmi e la crittografia hanno gettato le basi per l’odierno sviluppo dell’intelligenza artificiale, aprendo interrogativi etici e filosofici che risuonano ancora oggi nel dibattito sul prossimo futuro.
La scelta del soggetto non è casuale: il contributo nella teoria del calcolo e la sua visione sulle possibili derive dell’AI sottolineano la dualità del progresso. Turing intravedeva, già negli anni Cinquanta, potenziali rischi di un’intelligenza artificiale fuori controllo, un’idea che Ai-Da sembra volere evocare con i toni cupi e le linee frammentate del volto del matematico, quasi a simboleggiare i dilemmi etici che la tecnologia pone all’umanità. Come hanno notato il suo inventore, Aidan Meller, e gli studiosi coinvolti nella progettazione di Ai-Da, quest’opera riflette l’inevitabile scontro tra i benefici dell’innovazione e il timore di una perdita di controllo su di essa, amplificando la visione di Turing che, con lungimiranza, temeva la realizzazione di sistemi intelligenti superiori all’uomo.
Ai-Da è solo l’ultimo esempio di come il presente stia spingendo i confini della fantasia oltre il dominio umano, sollevando domande radicali sul ruolo dell’artista, sul valore dell’intuizione e sul significato stesso dell’espressione artistica. Ai-Da non è soltanto una macchina che imita tecnica e abilità; è un’entità in grado di prendere decisioni estetiche autonome, almeno all’apparenza. Tuttavia, tale autonomia resta programmata, guidata da algoritmi complessi che, pur simulando processi creativi, mancano della capacità emozionale e intuitiva che molti ritengono essenziale per la vera arte. Un aspetto che pone una domanda centrale: un’opera prodotta da un robot può considerarsi arte nel senso più autentico del termine, o è semplicemente una sofisticata elaborazione digitale che riflette i limiti delle sue istruzioni?
La presenza di Ai-Da in eventi internazionali, dal vertice delle Nazioni Unite al Festival di Glastonbury, dimostra un interesse crescente e forse inevitabile verso una nuova forma di espressione “post-umana,” che si nutre delle tecnologie più avanzate e sfida le concezioni tradizionali di creatività. Se da un lato la novità viene accolta con entusiasmo, dall’altro persiste una certa inquietudine per un domani in cui la genialità umana potrebbe essere marginalizzata. Però, proprio in questo risiede il potenziale più profondo di Ai-Da: spingerci a ripensare non solo cosa significhi creare, ma anche chi o cosa possa realmente essere definito un creatore.
Ai-Da rappresenta dunque un fenomeno che induce a rivalutare la natura della immaginazione e dell’inventiva, proponendo una visione futuristica che, come insegna Turing, va maneggiata con consapevolezza e senso critico. L’arte, in fondo, resta uno dei pochi ambiti capaci di esprimere l’essenza dell’umano, un’espressione che una macchina, per quanto sofisticata, potrebbe solo simulare, mai comprendere davvero. Pablo Picasso una volta disse: “La pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a sé stesso riguardo a ciò che ha visto”: una frase che riassume alla perfezione il limite forse invalicabile tra un algoritmo e la nostra ineguagliabile, misteriosa capacità di emozionarci e creare.
David Oddone
(La Serenissima)