Nel suo dialogo, Ludovico Zuccolo attribuisce la durata di San Marino alla conservazione della piccolezza e al suo mantenimento fuori della storia. Una conservazione dell’uguaglianza facilitata dalla piccolezza del territorio che non permette la crescita della popolazione e si “mantiene ferma e stabile nella sua buona costituzione”.
Garosci pone una domanda fondamentale:” E’ riuscito lo Zuccolo a riscontrare un modello ideale per San Marino?”
“Si e no”, scrive Garosci. Certamente si nel sentimento ispiratore, ché per lo Zuccolo San Marino non rimase un’astrazione, ma fu un passaggio riposante, un idillico luogo in cui le immagini della vita fisica suggeriscono un’armonia morale. Il vagheggiamento della società rustica sammarinese non è nello Zuccolo né artificioso né vago. Gente che lavora, che beve buone acque, “vini soavi”, buone carni e “latticini delicati”; gioventù “tutta intenta a giocar d’arme, all’esercizio della balla picciola e della grande, alla caccia, all’uccellare per scoscesi monti e per folti boschi”; coltura di campi poveri e aspri, che “ha bisogno di aver sopra l’occhio del padrone”; cittadini che stanno “alla guardia delle rocche e delle porte della terra”; guarnigioni che non taglieggiano i cittadini né escono “a fare incursioni sul terreno dei vicini”.
Con tutto ciò, conclude Garosci, lo Zuccolo non ha in mano solo una situazione reale, ma un modello; e perciò deve dare parte notevole della sua descrizione alla dimostrazione quasi della “naturalità” del regime sammarinese.
Emilio Della Balda