E’ chiaro che Ludovico Zuccolo ha esagerato descrivendo la situazione di San Marino molto migliore della realtà. Nel finto dialogo fa addirittura dire al Belluzzi: “Qui non vengono forestieri a corrompere i nostri costumi, non mercanti a introdurvi delizie, non banchieri a distruggerci co’ cambi, non artefici vani a farci innamorare di frascherie, non ciarlatani a vuotarne le borse, non medici a snervarne la sanità”. Ma, dai carteggi della Repubblica fra il 1612 e il 1630 si evidenzia tutt’altro quadro. San Marino non era isolata. Aveva un grande interscambio economico con il Montefeltro e con la Romagna. Il Consiglio fece ogni sforzo per convincere qualche ebreo di Ancona ad aprire una banca. Un medico lo raccomandava la principessa di Urbino. Un maestro di musica prendeva la residenza. Veniva implorato un giudice forestiero ( “siano sicure le Signorie Vostre ch’è impossibile, che la giustizia sia fatta da noi medesimi, essendo più che necessario d’aver sempre un Ministro forestiero”). Discordia e litigi nella vita politica erano frequenti nella “Città felice”. Lo Zuccolo capì di aver esagerato, al punto che verso la fine del Belluzzi ritorna a celebrare “què provvedimenti di viver sobrio e moderato, che prudenza esquisita introdusse da principio, conforme alla disposizione del luogo” e a ricordare che alla città ” poco gioverebbe favor di genio, se le venisse manco la prudenza e la dabbenaggine”, cioè, precisa Garosci, l’ispirazione etica e politica alla quale lo Zuccolo partecipava con molta passione come risulta dai documenti d’archivio. In particolare durante la crisi del 1624 quando i sammarinesi si trovavano tra la paura della scomparsa del duca d’Urbino e la non assicurata garanzia pontificia di rispetto della libertà per la Repubblica.
Emilio Della Balda