”In ormai 40 anni di egemonia malavitosa, i Casamonica e i loro alleati non sono mai stati accusati di un solo omicidio. Menano, non sparano, secondo l’antica tradizione romana che disprezza il cacafoco ed esalta la forza dei cazzotti. Non a caso tra i tanti parenti ci sono due pugili di ottimo livello. Se proprio c’è da premere il grilletto, magari contro la serranda di un fidanzato sgradito o di un commerciante riottoso a sganciare il pizzo, l’incarico viene affilato alla manovalanza ben remunerata: kosovari, albanesi e romeni.
Un’amministrazione da multinazionale: depositi nelle banche di San Marino o in altri paradisi fiscali (spesso affidata alle donne che, oltre a lanciare malefici e fare le carte, godono di un certo prestigio, come nella tradizione para-matriarcale degli zingari cristiani) e una protervia da gang di quartiere.
Quella dei Casamonica è una storia noir piena di contraddizioni, perfetto alternarsi di yin e yang criminale. Smerciano coca all’ingrosso ma sono capaci di tirare il pacco a un poveraccio pagando una vecchia Golf con un assegno farlocco. Affiancano Enrico Nicoletti, ex cassiere della Magliana, nelle sue astruse speculazioni finanziarie ma si fanno arrestare per aver minacciato una badante romena che reclamava i contributi. Gestiscono una rete di spaccio al dettaglio unica nella capitale e finiscono negli impicci per il pestaggio di un allevatore di chiwawa . Massacrano di botte un marmista iraniano che pretendeva di essere pagato ma poi lo lasciano tranquillamente a lavorare in borgata: a Napoli sarebbe durato tre giorni.
Violenti, sbrasoni, sentimentali, volgari, i Casamonica fanno quello che nessun malavitoso di rango vuole fare: si mostrano in tutta la loro potenza, recitano se stessi. Rubinetti dorati, statue di malachite, coperte di guanaco, argenteria, broccati, quadri d’autore accolgono polizia e carabinieri a ogni perquisizione.
A scadenze regolari, la procura antimafia sequestra fette dell’ immenso patrimonio e loro urlano, bestemmiano, protestano e poi ricominciano. Massima aspirazione: andare in qualche talk show, peggio che Paolini. E quando, tutti in coro, giurano che «Vittorio era un re, ci ha mostrato la vita e i divertimenti» c’è da giurare che ci credono sul serio.”
Massimo Lugli, Repubblica.it