Dopo averlo umiliato, insultato, costretto ad accompagnarlo a comprare la droga, aveva preso a cazzotti il padre di 66 anni, convinto che avesse fatto la spia e avesse detto ai carabinieri che in casa teneva un panetto di hashish. Ieri Omar Paoltroni, 42enne anconetano, è stato condannato a due anni e otto mesi di reclusione dal giudice Paolo Giombetti, che lo ha invece assolto dall’accusa di estorsione nei confronti del genitore. Dal processo, evidentemente, non sono emerse prove schiaccianti contro il 42enne, difeso dall’avvocato Annalisa Marinelli, che era stato accusato anche di aver minacciato il padre per farsi dare il denaro per comprare la droga. Per entrambi i reati, il pm Maria Luisa Pizza aveva chiesto 6 anni di reclusione. La sentenza è arrivata al termine di un’udienza drammatica: il giudice ha ascoltato prima la testimonianza del padre, che già nei mesi scorsi aveva ritirato la denuncia per maltrattamenti e in aula ha tentato di minimizzare la ricostruzione dell’accusa, poi quella del figlio, che ha raccontato della sua lotta con il demone della droga. L’imputato si è anche lanciato in una difesa del padre, che durante la testimonianza era stato ripreso per i troppi ‘non ricordo’. Il giudice gli ha fatto presente che rischiava un’incriminazione per calunnia. «Ha avuto un ictus, non ricorda davvero, non è giusto vedere mio padre trattato così».
L’imputato, che si trova in carcere dal maggio scorso proprio per le violenze contro l’anziano, ha ammesso di aver maltrattato, ma non picchiato, il genitore con cui ha convissuto dal 2010 al 2016. «Da 12 anni faccio uso di sostanze – ha detto al giudice – è una vita che lotto contro questo demone che ho dentro. Lo so che quando assumo stupefacenti divento una testa di c…». Omar Paoltroni ha voluto negare anche il pugno sferrato al padre il 7 marzo 2016, quando i carabinieri di Collemarino erano entrati in casa sua per una perquisizione e avevano trovato più di un etto di hashish. A quello sfogo di violenza hanno assistito anche i militari, guidati dal maresciallo Giuseppe Colasanto, che ieri hanno testimoniato in aula. I carabinieri avevano raccolto altre prove dei maltrattamenti: nel febbraio del 2016, quando il padre dell’imputato si era presentato in caserma per sporgere una delle prime denunce, avevano ascoltato in diretta una telefonata di Omar, che intimava al padre di rientrare subito a casa: «Mi hai lasciato senza cena e senza caricatore per il telefonino. Torna subito a casa. Corri». Il padre gli ha già perdonato tutto. Il Resto del Carlino