Ci capita, per lavoro o per diletto, di salire su un aereo che ci consentirà di raggiungere una meta. Se è molto lontana, talvolta più d’uno, in sequenza. Ciò realizza una lontana utopia umana, accolta persino nei miti: le ali di Icaro, i mitologici e letterari cavalli alati, da Pegaso in poi, i disegni progettuali di Leonardo, tanto per rimanere agganciati al nazionalpopolare. In cinquant’anni e più in cui l’utilizzo dell’aereo ha raggiunto un’ampia democraticità, fino ai più recenti voli low cost, si è passati da un settore di nicchia ad un consumo di massa. Può, però, accadere l’imponderabile ma anche il prevedibile col senno di poi, e la scelta dell’aereo diventa quella della bara (e, nel disastro, neanche quella…). Confessiamolo, in molti non ci sentiamo del tutto a nostro agio sospesi nel cielo, in balia dell’intreccio delle circostanze. Poi si realizza l’imprevedibile e, come nel caso della Germanwings, persino la follia umana ci mette lo zampino. Cosicché tutto viene rimesso in discussione. E questo è il lato sociale e individuale sul trasporto aereo. Poi ci sono elementi multipli che lo riguardano e che non vanno per aria, anzi, rischiano di far andare per aria ciò che si attesta come componente dell’economia mondiale; oppure che riguardano aspetti squisitamente tecnici e temi per addetti ai lavori, che, però, si proiettano sulla sicurezza dei voli.
Insomma, l’argomento è arduo, molto spesso ostico, oltre che complesso. Ma la convergenza di tutto è nel fare volare in sicurezza i cittadini, senza immolare safety e security alle bieche ragioni dell’economia.
Me ne resi conto, arrivando, da tecnica della comunicazione, a dialogare con i decisori ai vertici della navigazione aerea, allorché ricoprii per oltre un anno il ruolo di portavoce di un vice Ministro ai Trasporti che, fra le sue deleghe, aveva anche quella, appunto, dell’aeronavigazione. Fu un lavoro a 360 gradi e h24, che mi fece scoprire un mondo; anzi, un universo.
Fu in quell’occasione che approfondii la mia conoscenza con Gerardo Mario Pelosi, autorevole Direttore Generale al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, fino al 2013, proprio nel settore del Trasporto aereo.
Molte volte ricorrevo a lui -ed al Consigliere giuridico del vice Ministro- per trovare ‘le parole’ con cui comunicare le notizie di nuove iniziative o di evoluzioni giuridiche in materia; o, ancora, scrivere una vulgata sulle vicissitudini sindacali dei piloti. Abbiamo anche condiviso l’angoscia di un tragico sabato pomeriggio, quando ci siamo trovati, ognuno nella sua trincea, a gestire la comunicazione sull’incidente aereo avvenuto nel mare di Palermo, il 6 agosto 2005, che coinvolse il volo Tuninter ATR 1153, da Bari a Djerba e costò la vita a 16 persone. E’ stato un momento drammatico, molto impegnativo della mia vita professionale, e in quell’occasione ho potuto apprezzare le grandi professionalità al servizio dei cittadini la cui dedizione converse verso i soccorsi ai superstiti e nelle attività necessarie a far emergere le cause del disastro.
Le regole da applicare per limitare al massimo gl’incidenti Gerardo Pelosi ce le descrive con estrema sinteticità: “Nell’assecondare le esigenze di sviluppo economico, non si deve mai perdere di vista l’obiettivo di garantire la sicurezza considerata nelle due accezioni di safety e di security. Come noto, a livello internazionale il termine ‘safety’ è riferito alla sicurezza operativa intesa come prevenzione degli incidenti aerei e di quelli aeroportuali. La sicurezza del volo coinvolge le compagnie aeree, il personale di volo i controllori del traffico aereo, i gestori aeroportuali, nonché i gestori dei servizi aeroportuali di assistenza aerea, tutti soggetti, questi, che si devono attenere a dettagliate procedure operative (ovvero la regulatory safety). Se aeroporti, vettori e controllo del traffico aereo sono efficienti, il trasporto aereo è sicuro”.
Realizzare ciò, però, è davvero un difficile gioco ad incastro.
Non possiamo esimerci dal dare una tutela pubblica a ciò che è il diritto alla mobilità del cittadino, alla sua libera circolazione, sancito dalla Costituzione e che ora, quale Comunità europea, le Istituzioni Ue hanno il compito di salvaguardare. Il trasporto aereo rappresenta, ancora, un fertile terreno per l’esercizio dell’iniziativa economica; ma se è vero che il mercato di un prodotto fondamentale – quale quello del trasporto aereo – deve poter beneficiare del dinamismo che solo il sistema concorrenziale può imprimere, sta ai responsabili del settore intervenire per garantire una leale competizione. Nel vigilare in tal senso occorre, poi, porre attenzione perché le esigenze di sviluppo economico e di salvaguardia dell’utenza privata si contemperino, necessariamente, con altrettante regole che garantiscano la safety e la security, supportate da un adeguato sistema sanzionatorio. E’ e rimane, infatti, compito imprescindibile dello Stato garantire la sicurezza che, considerata in entrambe le accezioni, rappresenta uno degli aspetti più delicati di ogni sistema di trasporto.
E come avete affrontato questo compito?
Naturalmente, non da soli né in ordine sparso, bensì aderendo ai vari accordi internazionali, per lo più di dimensione planetaria, al fine di assicurare omogeneità d’azione, attraverso i quali, con autorità ad hoc sono state varate normative e iniziative in materia. Per esempio, a seguito dell’incidente dell’ATR 72 occorso nell’agosto 2005, di cui parlavmo, in occasione di un vertice convocato dal Ministro pro-tempore è stata, tra l’altro, prevista la costituzione di un apposito gruppo di lavoro, che ho coordinato in qualità di Direttore Generale, e del quale hanno fatto parte qualificati rappresentanti di ENAC, ENAV, oltre al Consigliere per la Sicurezza del Ministro, con il compito di individuare opportune misure per la ulteriore elevazione degli standard di sicurezza del trasporto aereo. Le misure aggiuntive così individuate, hanno formato oggetto di direttive ministeriali annuali indirizzate all’Enac, autorità di settore.
Abbiamo parlato, come si suol dire, ‘a volo d’uccello’ della intricata materia che ha formato la base del tuo lavoro per molti anni. Le mie interviste, però, mirano anche a far conoscere la persona dietro il ruolo. Cominciamo dapprincipio. Ti chiamo Gerardo o Mario? Talvolta al Ministero capitava che ti si chiamasse con uno dei due nomi ed era un po’ confusivo.
Tutto dipende dal nonno che si chiamava appunto Gerardo Mario. Ebbe tre figli e mio padre era il secondo; naturalmente, essendo la nostra una famiglia di origini campane, si usava tramandare il nome del padre. Io ero il primo fra i cugini; ma anche i miei due zii non rinunciarono a imporre il nome paterno al figliolo maggiore, per così dire ‘dividendoselo’: ho, così, un cugino che si chiama Mario ed un altro battezzato Gerardo.
Dove hai trascorso la tua infanzia?
Mio padre, insegnante di Lettere di Santa Maria Capua Vetere, venne a prestare servizio in una scuola romana, per cui nacqui nella Capitale. Successivamente intraprese la strada della docenza nelle scuole italiane all’estero, per cui a otto anni mi ritrovai catapultato a Il Cairo, a 11 a Parigi e a 14 a Tripoli, in Libia, in epoca pre-Gheddafi. Lì, Papà era preside del Liceo italiano locale e direttore dell’Istituto italiano di cultura. Tornammo in Italia nel 1965 ed io mi iscrissi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università ‘Federico II’ di Napoli, dove poi mi laureai con una tesi in Diritto civile, col professor Luigi Cariota Ferrara, su ‘La rescissione del contratto in stato di pericolo’. Era in qualche modo attinente alla grande passione che già da allora avevo sviluppato per il Diritto della navigazione (pensate ad un passeggero che, pur di salvarsi da un naufragio, cede ad un soccorritore tutti i suoi beni) e, sempre per seguirla, per i primi due anni dopo la laurea, collaborai con uno studio legale di Roma specializzato in Diritto della navigazione. Poi la mia vita, pur rimanendo nell’alveo di questa passione, prese un’altra strada, più ‘istituzionale’.
Ovvero?
Avevo conosciuto per questioni di studio l’Ammiraglio Sergio Stocchetti, Comandante del Porto di Venezia che mi convinse a cimentarmi nel concorso nelle Capitanerie di Porto. Lo vinsi e assunsi il grado di Tenente di Porto (sottotenente di Vascello); diciotto anni dopo, le circostanze della vita mi portarono a congedarmi col grado di Capitano di fregata. La prima sede fu alla Capitaneria del Porto fluviale di Roma; poi fui proiettato ad un comando in una Capitaneria di trincea, a Gela. Un intreccio di eventi mi portarono ad anticiparlo di un anno. Il collega che mi precedeva in graduatoria, per evitare la destinazione diede le dimissioni ed io ‘sbarcai’ a Gela.
Un porto più che altro commerciale…
E legato alla raffineria ANIC, che vi era collegata. Dovevamo governare continue problematiche ambientali, per i fumi e l’inquinamento del mare e non fu un lavoro facile. Ricordo, in particolare, nel 1981, lo sversamento a mare di centinaia di tonnellate di greggio ad alto tenore di zolfo, causato da uno squarcio di una tubazione che correva lungo il pontile del porto. L’evento avvenne in piena notte e il greggio fluì in mare, senza che nessuno se ne accorgesse, per almeno cinque ore, arrivando fino a Marina di Ragusa. Lì posso davvero dire di essermi fatto le ossa, con un’esperienza che faceva tremare le vene ai polsi e che richiese un gravoso impegno di 6 – 7 mesi per il recupero non solo del greggio liquido, ma anche di quello solidificatosi in panetti di zolfo, che furono recuperati anche replicando la metodica della pesca a strascico. Dopo Gela tornai a Roma, presso il Comando Generale, prestando servizio per due anni all’Ufficio degli affari giuridici. Poi, fui proiettato in una diversa realtà istituzionale, quella di Aiutante di bandiera, ovvero di Consigliere militare del Ministro della Marina Mercantile. Collaborai con tre Ministri: per tre anni con Gianuario Carta, per 18 mesi circa con Costante Degan e per altri tre anni con Gianni Prandini. Lasciando la carica, quest’ultimo mi nominò Direttore generale del Ministero stesso e io lasciai la carriera militare.
Ovvero, smettesti i gradi per essere più alto in grado. Cosa facesti, poi?
Gianni Prandini ebbe modo di conoscermi meglio quando partecipai all’elaborazione della Riforma della portualità, per cui, allorché assunse la carica di Ministro dei Lavori Pubblici, divenni capo della sua Segreteria tecnica e vicecapo di Gabinetto vicario. La mia carriera segnò un’ulteriore tappa nel 1991, quando divenni Direttore generale delle Opere marittime, un ramo dei lavori pubblici che si occupava della manutenzione ordinaria e straordinaria dei porti italiani; un ruolo che riguardava anche la politica d’investimento nei porti. Questo compito è oggi stato assorbito dalle Autorità portuali. Fino al 2004 ho svolto vari incarichi all’interno del Ministero, finché nel mese di agosto, la mia vita cambiò completamente prospettiva: il Ministro Pietro Lunardi mi nominò Direttore generale degli aeroporti e del trasporto aereo. Vabbé che il diritto della navigazione aerea è una branca di quello della navigazione tout court, ma dovetti cambiare completamente campo d’azione. Ricordo che trascorsi il periodo di ferie immerso nello studio.
Dunque, passasti tutt’un tratto dal mare al cielo. Un bel salto!
Mi sono occupato di Trasporto aereo in qualità di Direttore generale dal 2004 al 2013, con un intervallo di un anno e mezzo, a partire dal marzo del 2009, allorché sono stato consigliere ministeriale del Capo Dipartimento dei Trasporti, Amedeo Fumero. Su richiesta del Ministro Altero Matteoli, poi, nel novembre 2011 sono ritornato a capo della Direzione generale del Trasporto aereo. Col Ministro Alessandro Bianchi mi sono occupato, ad esempio, del delicato capitolo della cessione di Alitalia ad Airfrance che, se fosse andata in porto come l’avevamo immaginata noi, sarebbe stata meno traumatica e dispendiosa per gli italiani e comunque non avremmo svenduto un ‘gioiello di famiglia’. Il primo maggio 2013, con quasi 49 anni di contribuzione, compreso il riscatto del corso di laurea e per i comandi ricoperti, sono andato in pensione.
Parliamo, di trasporto aereo. Quali sono, secondo la tua esperienza, i compiti che lo Stato deve assolvere in materia?
Garantirne innanzitutto la sicurezza: questo compito non può essere né delegato, né appaltato ad altri. Per cui ritengo lunare il dibattito intorno alla privatizzazione dell’ENAV. Garantire la sicurezza dei cieli (e dei cittadini che li solcano) non può che essere compito dello Stato. Mi chiedo: il privato che segue la logica del profitto ha un tale senso civico da minimizzare i guadagni, impegnando tutte le risorse necessarie per il miglioramento continuo del livello di sicurezza? Infatti, non c’è un limite che decreti la massima sicurezza possibile: prevenire costa, ma è quello che bisogna fare per evitare incidenti e disservizi. Lo Stato, nel supremo interesse dei cittadini può permettersi di impegnare le risorse provenienti dalla fiscalità; un privato, invece, deve far quadrare i conti, anche limando investimenti necessari.
Quali sono le trincee in cui ti sei impegnato, dopo il maggio del 2013?
Sono stato, successivamente al mio pensionamento, Presidente del Comitato scientifico del Centro Studi STASA, organismo che, associando professionisti di alto profilo, monitora e fa da advisor per le istituzioni e le organizzazioni di trasporto, ma anche altri sistemi complessi, come sanità, centrali energetiche e così via. Ad esempio, in convenzione col Ministero dei Trasporti, approfondiamo alcune tematiche riguardanti la sicurezza o il piano nazionale aeroporti. Oggi, sono socio onorario STASA.
A proposito degli aeroporti, in Italia ce ne sono troppi?
Se il territorio fosse ben infrastrutturato e ben collegato su strada e per ferrovia potremmo fare a meno di un certo numero di aeroporti. Poiché, però, vi sono luoghi dove tali collegamenti sono carenti è chiaro che il mezzo aereo costituisce l’unico strumento in grado di garantire la mobilità dei cittadini, attuando un dettato costituzionale e, oggi, europeo. Sono, però, contrario alla costruzione di nuovi aeroporti, soprattutto alla luce dell’esempio dato in passato da molte società di gestione, che si sono rivelate molto carenti nel raggiungere standard di efficienza e di equilibrio di gestione.
Quale è stato il momento più terrorizzante della tua vita?
Ricordo vividamente ancora ora una volta che, intorno al 1983 o 1984, in qualità di Aiutante di bandiera, accompagnai il Ministro Carta all’inaugurazione dei Salone nautico di Genova. Viaggiammo su un piccolo Piaggio e su Genova imperversava una buriana di pioggia e vento. Fu quella la volta che vedemmo per davvero la morte con gli occhi. A bordo, compreso i due componenti dell’equipaggio, eravamo in cinque: arrivammo quasi alla fine della pista senza riuscire a prendere terra.
In quale attività sei attualmente impegnato?
Sono Presidente della San Marino International Airport, società per azioni di diritto sanmarinese, a capitale pubblico. Abbiamo, fra gli altri compiti, quello di ricercare investitori per la realizzazione di infrastrutture aviation nelle aree dell’Aeroporto Internazionale di Rimini-San Marino, affidatoci, in base ad accordi internazionali risalenti al 1990 e ratificati nel 1998, dalla Repubblica italiana a quella di San Marino.
Fonte: L’Indro, Anna Maria Barbato Ricci