Anna Maria Lorusso, L’utilità del senso comune

(di Marzia Apice) (ANSA) – ROMA, 06 OTT – ANNA MARIA LORUSSO, L’UTILITA’ DEL
SENSO COMUNE (il Mulino, pp.168, 14 euro). La foto del piccolo
Aylan Kurdi, trovato morto nel 2015 sulla spiaggia di Bodrum,
divenuta virale fin dalla prima diffusione attraverso l’agenzia
Reuters e poi al centro di accese polemiche sull’illegittimità
o, al contrario, la necessità della sua circolazione. La
copertura dei nudi delle statue dei Musei Capitolini in
occasione della visita del presidente iraniano Rohani nel 2016
per “non urtarne la sensibilità”, scelta adottata dal governo
Renzi, stigmatizzata in patria dall’opposizione e all’estero
dalla stampa e dai Paesi anti-Iran. Ma anche la forza
sedimentata di miti, luoghi comuni, espressioni ‘privilegiate’
come modi di dire o proverbi che sono parte di credenze e valori
condivisi (e per questo a volte considerati una sorta di
conoscenza degradata) o ancora i tanti casi, anche recenti, in
cui si è richiamato la ‘cancel culture’ e il ‘politically
correct’ (nel linguaggio di genere per esempio, tra vocaboli
declinati al femminile e schwa). Sono solo alcuni dei temi
trattati da Anna Maria Lorusso nel suo saggio “L’utilità del
senso comune”, edito da il Mulino. L’autrice, che insegna
Semiotica nel Dipartimento delle Arti dell’Università di
Bologna, si propone di chiarire cosa differenzia (e dove si
sovrappongono) il senso comune e il buon senso, nella
convinzione che il primo sia più interessante da analizzare,
perché fondativo del secondo: “senso comune è talvolta sinonimo
di senso tout court, altre volte è sinonimo di buon senso, altre
volte è semplice sinonimo di banalità, nella sovrapposizione
possibile fra senso comune e luogo comune”, scrive
nell’introduzione. Una questione complessa quindi, che affonda
però pienamente le sue radici nel nostro vivere quotidiano:
ognuno di noi infatti interagisce senza sosta (spesso anche
rifiutandolo) con quell’insieme di valori e abitudini
interpretative presenti nella comunità di appartenenza. Nel
volume Lorusso divide la sua riflessione in segmenti ben
definiti, che tuttavia sono in stretta relazione tra loro: da
una prima parte in cui si traccia una storia dell’idea di senso
comune in ambito filosofico, semiotico e socioantropologico, si
passa a una seconda più “osservativa”, con l’analisi di alcuni
casi tratti dalla nostra contemporaneità; infine la terza fase,
che propone una lettura semiotica del senso comune, come filtro
e piano di riferimento di qualsiasi atto interpretativo. Lungi
dall’essere ‘solo’ una riflessione accademica, il libro alla
fine si focalizza sul concetto di comunanza, come ‘luogo’ in cui
risiede oggi l’utilità del senso comune: “in epoca di sfiducia
generalizzata (nelle istituzioni, nel sapere, nelle gerarchie,
nella politica) forse tornare a legittimare un’idea piena, non
teoreticamente degradata, di senso comune potrebbe servire a
ridefinire il campo di un possibile orizzonte sociale, dove
singolarismi e unanimità suonano entrambi fuori luogo”, scrive
Lorusso, “Tra l’universale e l’individuale, forse c’è una
dialettica possibile e non riduttiva, che rimanda al generale e
al condiviso”. (ANSA).
   


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