Arezzo. Etruria e l’oro che luccicava di truffa. Indagine anche sull’evasione IVA

Banca EtruriaL’11 FEBBRAIO 2011 fu un giorno doppiamente nefasto per Banca Etruria. Nelle stesse ore in cui i commissari bussavano alla porta del cda con il decreto di amministrazione straordinaria, la Guardia di finanza setacciava gli affari di Oro Italia Trading, veicolo da mezzo miliardo di fatturato attraverso il quale Bpel commercializza lingotti e metalli preziosi. Di mezzo c’era una mega-truffa cosiddetta «carosello» sull’Iva di argento, palladio e rodio che portò in carcere quattro noti imprenditori aretini. Due dei quali si pentirono quasi subito, chiamando in causa appunto Oro Italia Trading come vertice degli affari sporchi. Neppure questo è sfuggito ai controlli dell’ultima ispezione di Bankitalia, quella di Giordano Di Veglia, che stigmatizza «le lacune nei controlli di secondo livello, affidati al comparto estero, sulla controllata oggetto di indagini da parte della procura».

IN EFFETTI, l’inchiesta del pm Marco Dioni investì ben presto e in pieno il colosso dell’oro, perquisito alla fine di febbraio. In marzo la richiesta di arresto per il consigliere delegato Plinio Pastorelli, accusato dagli altri di essere il vero regista dell’operazione. Ma il gip Anna Maria Lo Prete disse no perché non c’erano più esigenze cautelari, decisione poi confermata in luglio anche dal tribunale del riesame. L’indagine è vicina alla conclusione. Bankitalia parla anche di «potenziale impatto sulla situazione fiscale della capogruppo», dalla cui dichiarazione Iva furono scomputate le imposte mai pagate della truffa. Un’altra delle tante contestazioni ai vecchi amministratori, che però non stanno solo a guardare e anzi reagiscono. Sono di luglio le controdeduzioni all’atto di incolpazione di Bankitalia contro 22 ex consiglieri (fra cui l’ultimo presidente Lorenzo Rosi e i suoi vice Alfredo Berni e Pierluigi Boschi, padre del ministro) e 6 ex sindaci che il nostro giornale aveva pubblicato nelle edizioni del 18 e 20 dicembre. Ecco quelle di uno dei membri più autorevoli del vecchio board su due dei punti principali, mancata aggregazione con Popolare Vicenza e «commissione consiliare informale» che avrebbe governato la Popolare dell’Etruria.
«È un rilievo infondato – scrive a proposito del caso Vicenza –. Il cda insediatosi il 4 maggio 2014 si è immediatamente impegnato in un processo volto all’integrazione». Ma l’offerta di Bpivi era «connotata da notevoli criticità». In particolare il prezzo di un euro per azione e gli altri incentivi non erano tali da garantire il successo di un’Opa condizionata al raggiungimento del 90% di adesioni e si rischiava anche, portando la questione in assemblea dei soci, di non raggiungere la maggioranza per la trasformazione in spa, visto il «clima ostile».
Per questo il cda chiese a Vicenza un’ulteriore trattativa, non più lunga di 6-8 mesi, subito e «recisamente respinta» dai vicentini, «a conferma dell’effettiva insussistenza di concrete prospettive di integrazione», confermate successivamente dai pessimi risultati economici della Popolare veneta. Sottintenso: quello di Vicenza era un bluff.

SULLA «commissione consiliare informale», fortemente criticata da Bankitalia come organo anomalo, la controdeduzione spiega che si trattava di un semplice strumento cui aveva dato mandato il vecchio cda «ai fini dell’integrazione» e poi confermato dall’ultimo consiglio nella prima riunione del 9 maggio 2014. Ne facevano parte Rosi, Boschi, Berni, Luciano Nataloni, ora indagato con Rosi per il conflitto di interessi, e Felice Santonastaso.
Mero organo informale, secondo la controdeduzione, o vero governo dell’Etruria, come accusa Bankitalia?

La Repubblica