UN’ALLEGRA combriccola di pasticcioni di provincia controllata da un consiglio che poco sapeva di questioni tecnico-bancarie. Eccolo il ritratto al vetriolo che dei vertici di Banca Etruria traccia dinanzi ai finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Arezzo, delegati dal procuratore capo Roberto Rossi, Emanuele Gatti, capo del pool ispettivo di Bankitalia che aveva passato al setaccio Bpel fra marzo e settembre 2012, il migliore dei «mastini» di Carmelo Barbagallo, numero uno della Vigilanza. È il 13 gennaio di quest’anno, Gatti viene sentito a suggello dell’inchiesta per ostacolo alla vigilanza aperta dal dicembre 2012, quando il rapporto degli ispettori è stato consegnato anche in procura. Lì la richiesta di processo è scontata, questione di ore. I giudizi di Gatti sono drastici, quasi trancianti: «Emerge – dice al foglio 20 della sua testimonianza – la sostanziale inadeguatezza qualitativa degli amministratori, privi di competenze specifiche in campo bancario e finanziario, ciò anche a causa dell’inerzia mostrata da Bpel nel dare seguito all’invito della Banca d’Italia di favorire l’ingresso di esponenti connotati da elevata professionalità».
IN SOSTANZA, secondo Gatti, Banca Etruria è in mano «a un’alta direzione» di cui fanno parte il presidente Giuseppe Fornasari, il direttore generale Luca Bronchi e il direttore centrale David Canestri, responsabile del risk management. Sono loro che hanno sottavalutato l’esplosione delle sofferenze, sono loro che hanno architettato lo spin-off dell’immobiliare
Palazzo della Fonte per dare un po’ di ossigeno ai conti. Pierluigi Boschi, padre del ministro, è ancora uno di quei consiglieri che (per di Gatti) «sono espressione del tessuto imprenditoriale e professionale aretino» ma «tutti privi di competenze specifiche». Nel maggio 2014 Boschi farà il salto di qualità: vicepresidente, accanto al vicario Alfredo Berni, del nuovo numero uno Lorenzo Rosi. In tale veste il padre del ministro farà parte di un’altra «commissione consiliare informale», quella cui la nuova ispezione chiusa il 27 gennaio 2015 e guidata da Giordano Di Veglia contesta di aver bocciato l’Opa di Popolare Vicenza: «L’offerta vincolante del 28/5 (2014 Ndr) non è stata sostanzialmente dibattuta in consiglio… che ha perlopiù ratificato scelte e decisioni prese in altra sede». È una delle contestazioni di addebito a papà Boschi, al presidente Rosi e altri 6 consiglieri che Bankitalia si appresta a inviare anche in procura. Per ora solo rilievi amministrativi, ma fra qualche mese, dopo la liquidazione coatta amministrativa, potrebbero anche sfociare in accuse di bancarotta fraudolenta. Intanto, tornando all’interrogatorio di Gatti, lui dice che l’operazione Palazzo della Fonte ha «inciso in modo determinante sul giudizio di Bankitalia» a riguardo della capacità del management «di condurre la Popolare secondo i canoni della sana e prudente gestione» e «ha ritardato l’acquisizione» da parte di via Nazionale, «della consapevolezza circa l’irreversibilità della crisi aziendale». A margine un’altra indiscrezione sull’ultima relazione ispettiva del 2014: si contesta anche il riacquisto per 29 milioni della sede di Banca Del Vecchio e di due filiali, con una consulenza da 625 mila euro.
Resto del Carlino