Arresti eccellenti… Ma a che serve la carcerazione preventiva se le prove in mano agli inquirenti sono concrete e già acquisite? …. di Enrico Lazzari

Enrico LazzariArresti eccellenti… Ma a che serve la carcerazione preventiva se le prove in mano agli inquirenti sono concrete e già acquisite?

Ho vissuto, nei miei anni di militanza nell’allora MSI pesarese, gli anni di tangentopoli. Quella italiana dei primi anni Novanta. Ero un ragazzetto, venticinquenne, e, oggi, se mi mettessi a frugare nell’armadio troverei di certo una t-shirt con impresso, a caratteri cubitali, “Forza Di Pietro!”, all’epoca magistrato simbolo di “Mani Pulite”.

Furono, nel biennio passato alla storia come quello di “tangentopoli”, ben 4.520 indagati, centinaia di provvedimenti di -talvolta immotivata- carcerazione preventiva. Ora, a due decenni da allora, possiamo affermare che due terzi di questi quasi 5.000 indagati, spesso arrestati preventivamente, non sono poi stati condannati… Ma hanno subito ugualmente la dura, inappellabile condanna dell’opinione pubblica. Pesante quanto, se non di più, di una sentenza di colpevolezza e di anni di carcere.

Oggi, alla luce di questi numeri imbarazzanti per la giustizia italiana, comprendo quanto anche io fossi ingenuo all’epoca. Ogni arresto mi procurava una sorta di estasi interiore. Poco importava il resto, la presunzione di innocenza, l’assenza di un processo, le dichiarazioni dei protagonisti che si dichiaravano estranei ai fatti contestatigli… I colpi di pistola o di fucile, i nodi scorsoi a cui troppi indagati hanno voluto affidare il loro disperato -ultimo!- grido di innocenza o di protesta verso quel tintinnio delle manette più violento dei colpi di una mitragliatrice di grosso calibro. “Ciascuno di noi -si legge nella lettera che l’ex Presidente di Eni, Gabriele Cagliari, scrisse alla famiglia prima di suicidarsi in carcere- già compromesso nella propria dignità agli occhi della opinione pubblica per il solo fatto di essere inquisito o, peggio, essere stato arrestato, deve adottare un atteggiamento di ‘collaborazione’ che consiste in tradimenti e delazioni”. “Ci trattano -continua la lettera- veramente come non-persone, come cani ricacciati ogni volta al canile. Sono qui da oltre quattro mesi, illegittimamente trattenuto” perchè “tutto quanto mi viene contestato non corre alcun pericolo di essere rifatto, né le prove relative a questi fatti possono essere inquinate in quanto non ho più alcun potere di fare né di decidere, né ho alcun documento che possa essere alterato. Neppure potrei fuggire senza passaporto, senza carta d’identità e comunque assiduamente controllato come costoro usano fare”.

“Ci furono decine di suicidi durante il biennio di Tangentopoli -ha affermato Nando dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto-. Il risultato è che i suicidi furono prodotti non tanto dalla detenzione in carcere, perché quasi tutti si uccisero fuori dal carcere, e molti anche dopo essere stati prosciolti. Era il clima dell’opinione pubblica che era insopportabile per chi avesse avuto comunque il marchio dell’indagine giudiziaria. Quindi, questo più che rinviare all’azione di magistrati, rinvia secondo me all’incapacità che in quel momento ebbero i giornali e l’opinione pubblica di mantenere un senso delle proporzioni…”.

Una situazione che -spulciando i social network, leggendo i commenti alla notizia dell’arresto dell’ex Segretario di Stato Fiorenzo Stolfi, che si affianca alla detenzione dell’altro ex Ministro Claudio Podeschi- sembra essere tale anche in San Marino: i sammarinesi hanno perso il senso delle proporzioni e i media sembrano avere più di un problema ad andare oltre al semplice ruolo di megafoni della magistratura, dei suoi dispacci, dei suoi risonanti arresti.

Mancano, per ora e per fortuna, i suicidi… Per il resto l’attualità sammarinese sembra ricalcare quella italiana dell’era “Tangentopoli”. Anche per come la Magistratura sembra utilizzare -e ripeto sembra- l’arma della carcerazione preventiva.

Sapremo nelle prossime ore quale inchiesta abbia aperto all’ex Segretario di Stato Stolfi le porte dei Cappuccini. Se fosse la stessa per cui è indagato da mesi apparirebbe incomprensibile la motivazione di quel provvedimento. O, forse, ma mi appare alquanto inverosimile, stava organizzando la fuga? Quali prove potrebbe inquinare, oggi, che non avrebbe potuto inquinare nei mesi precedenti? Quale reato potrebbe reiterare con addosso gli occhi, le attenzioni della Magistratura?

Se questi dubbi mi assillano -avendo vissuto l’esperienza italiana di “mani pulite”- per l’arresto di Stolfi, ancor di più lo fanno per quello di Podeschi e della Baruca. Che reato potrebbero reiterare ormai? Che prove potrebbero inquinare più? E allora, perchè dopo quasi due mesi e mezzo sono ancora in carcere in regime di carcerazione preventiva, senza una condanna?

Inizio a farmi una idea… Una mia idea, per carità, nulla più di una convinzione che -non suffragata da elementi probatori oggettivi ma alimentata da un ragionamento razionale basato sugli elementi, pochi, in mio possesso, avanza prepotentemente. Più che una convinzione -per ora- un dubbio: anche sul Titano, come fu a Milano, la carcerazione preventiva viene utilizzata per scopi non propriamente legittimi? Forse la Magistratura non ha in mano quelle così eclatanti prove di colpevolezza e spera con la pressione delle manette di estorcere confessioni o dilazioni per salvare una inchiesta che, ormai, per il “rumore” che ha fatto, per il clamore che ha sollevato anche oltre i confini di Stato, non può chiudersi con un nulla di fatto?

Se la Magistratura ha in mano così eloquenti prove -come si evince dalle cronache sammarinesi- a che serve tenere gli indagati in carcere prima del processo che, in tal caso, si potrebbe istituire in brevissimo tempo? O, forse, Podeschi, la Baruca e, adesso, Stolfi sono in carcere perchè i Magistrati, in mano, di davvero concreto, non hanno nulla?

Enrico Lazzari