Atletica. «ERRORI IN SERIE MA NON È DOPING»

atletica«IL CASO ITALIA non è il caso Russia. Sono due realtà non paragonabili…».
Guido Rispoli è il procuratore della Repubblica di Bolzano. Dalle inchieste del suo ufficio sulla vicenda di Alex Schwazer è nato il caos che sta minando la credibilità dell’atletica leggera a livello nazionale e planetario.
«Ma sarebbe sbagliato fare di tutta l’erba un fascio – dice il magistrato – bisogna distinguere».
Distinguiamo.
«Dal rinvenimento della raccolta dati della federazione internazionale di atletica, la Iaaf, sono derivate le note conseguenze a proposito dei russi. E altre responsabilità emergeranno, immagino a proposito di altri paesi. Ma lì si parlava di doping».
Nel nostro caso invece…
«Non ci sono elementi penalmente rilevanti, proprio perché gli atti che a suo tempo noi trasmettemmo ai competenti uffici del Coni si riferiscono alla elusione dei controlli. È un’altra cosa, è un’altra storia».
Sì, ma lei capisce meglio di me come ragiona il popolo: legge di una valanga di atleti deferiti e conclude che sono una manica di imbroglioni.
«Eh, ma qui magari dovete essere bravi voi che fate informazione a spiegare le differenze. Io gliela spiego così: se questi azzurri fossero accusati di essersi dopati, la magistratura ordinaria correttamente li avrebbe perseguiti».
Ma non è il nostro caso.
«Appunto. E tra l’altro tenga presente che non è vero che noi abbiamo mandato le carte al Coni a singhiozzo, come mi pare qualcuno abbia detto. Compatibilmente con le esigenze delle indagini, quello che avevamo lo abbiamo inoltrato alla procura antidoping del comitato olimpico nazionale».
Che se la sbrighino loro.
«Ripeto, qui non ci sono reati».
Forse però c’è un malcostume. Diffuso, molto diffuso.
«Amico mio, adesso le parlo da appassionato di sport pulito e non da uomo di legge, d’accordo?».
Vada avanti.
«Vede, la battaglia contro il doping è difficilissima. Per vincerla occorrono due cose».
Sentiamo.
«Molta pazienza, come in ogni materia che richiede un diverso approccio culturale. E poi lo sviluppo del passaporto biologico. Questo è fondamentale. Ogni atleta deve essere ‘tracciato’, di ogni competitor bisogna conoscere tutti i dati ematici, eccetera. Anche negli attimi che precedono una finale olimpica o a Wimbledon o in Champions League».
E ancora non ci siamo.
«Non è così semplice, ma spero ci arriveremo».
Ultima cosa: come sta vivendo il tentativo di rinascita dell’ex imputato Alex Schwazer?
«Bene. Mi disse che voleva dimostrare di poter vincere pulito e che si sarebbe affidato al professor Donati, simbolo storico della lotta al doping. Risposi che avrei fatto il tifo per lui».
Ci sarà il lieto fine, con medaglia al collo?
«Magari, abbiamo tutti bisogno di una favola…».

Resto del Carlino