Atletica, Mondiali al via: non solo Bolt vs Gatlin. L’Italia punta su alto e marcia

epa03343998 Usain Bolt of Jamaica winning the men's 100m final during the London 2012 Olympic Games Athletics, Track and Field events at the Olympic Stadium, London, Britain, 05 August 2012. EPA/MICHAEL KAPPELER
epa03343998 Usain Bolt of Jamaica winning the men’s 100m final during the London 2012 Olympic Games Athletics, Track and Field events at the Olympic Stadium, London, Britain, 05 August 2012. EPA/MICHAEL KAPPELER

Con la maratona maschile (speriamo nel campione europeo Meucci contro i formidabili africani) inizia la rassegna iridata a Pechino. Attesa per i 100 metri di domenica, ma sono tanti i personaggi attesi: da Genzebe Dibaba a Mo Farah. Per gli azzurri possibilità con Tamberi e Fassinotti oltre che con le marciatrici Giorgi e Rigaudo. Il tutto in un momento delicato per le polemiche doping.

Tra Bolt, Gatlin, il nuovo corso affidato a Sebastian Coe, il fantasma del doping e tanto altro. Il Mondiale di atletica nell’anno preolimpico non è mai banale. Non lo sarà neanche quello al via a Pechino nella notte italiana tra venerdì e sabato. Riduttivo limitare il discorso a Usain Boltcontro Justin Gatlin, ma è chiaro che la grande sfida sui 100 metri, in programma domenica alle 15,15 italiane, catalizza l’attenzione generale. Tra loro il dualismo è perfetto: non si amano e non fanno nulla per nasconderlo, inoltre nell’immaginario collettivo è l’eterno duello tra il buono e il cattivo. Inutile dire che Bolt recita la parte del buono, da quando proprio a Pechino, alle Olimpiadi del 2008 folgorò il mondo. Da allora un susseguirsi di medaglie -e record- quasi senza soluzione di continuità, un regno riaffermato con forza ai Giochi di Londra. Bolt è l’atletica, la gente lo ama e lui quasi cerca di scansare il ruolo: “La gente dice che devo vincere per salvare questo sport, ma la crescita dipende da tutti”. Conseguenziale che Gatlin sia il cattivo. Un primo caso doping, poi un altro (testosterone) che gli è costato otto anni di squalifica, ridotti successivamente a quattro. Una mazzata difficile da digerire, lui è riuscito a tornare, ma è fin troppo evidente che l’imbarazzo per l’eventualità che un ex dopato diventi l’uomo più veloce del mondo. Tabelle alla mano, la cosa ci sta tutta. Il 33enne statunitense ha il miglior tempo stagionale sia sui 100 (9”74) che sui 200 (19”57) e nelle ultime 26 gare nessuno è riuscito a stargli davanti. Che poi, a 33 anni, abbia abbassato il suo limite precedente (9”77), stabilito nel periodo in cui fu trovato positivo, è uno dei grandi interrogativi ai quali non è facile dare una risposta. Insomma, sarà una sfida attesa per mille motivi, alimentata dal fatto che i contendenti, un po’ come avviene per quei match di pugilato organizzati dopo anni di schermaglie, si sono regolarmente evitati nella stagione.

Confronto per ora solo indiretto che dà torto a Bolt, che in stagione è andato -ovviamente per i suoi canoni- piuttosto piano: 9”87 a Londra. Riuscirà il buon Usain a tirare fuori dal cilindro la grandissima prestazione proprio quando il suo regno è in pericolo? Non lo può dire, ma probabilmente se lo augura anche Sebastian Coe. La presidenza della Iaaf appena conquistata, per l’ex fuoriclasse del mezzofondo assomiglia tanto ad una patata bollente, dopo le bufere doping seguite alle rilevazioni dell’emittente tedesca ARD: se l’uomo più veloce del mondo avesse un passato oscuro, non sarebbe un inizio indimenticabile. Restano alla velocità, di sicuro la Giamaica non aspetta solo Bolt. L’altra stella è donna e si chiama Shelly Ann Fraser: a Mosca si è presa tutto, ma anche anche a Pechino e Londra ha dominato i 100.

Dunque, oltre a quei dieci secondi scarsi di domenica pomeriggio, c’è molto altro a Pechino. Mo Farah è il più atteso sui 5000 e 10000 dopo la straordinaria doppietta di Londra, ma le nubi doping si sono palesate anche su di lui, sia pur indirettamente per i metodi del suo coach, lo statunitense Alberto Salazar. Il mezzofondista è stato scagionato dalla federazione britannica, ma correre sereno sarà un’impresa. Senza nubi -meno male- una possibile star dei mondiali, l’ultimo prodotto della fantastica stirpe etiope delle Dibaba. La regina è quella Tirunesh capace di vincere medaglie d’oro a chili, ora tocca alla sorella Genzebe. Lei che a Montecarlo ha polverizzato il record del mondo dei 1500: resisteva da 22 anni, dalla cinese Qu Yunxia, allieva di Ma Junren, quello dell’estratto di tartaruga propeteudico alle prestazioni per internderci… La Dibaba tenterà la grande doppietta 1500-5000, più difficile e molto più rara di quella 5000-10000. Basta pensare che in campo maschile, a livello olimpico, l’impresa riuscì a El Guerrouj nel 2004, ma prima c’era riuscito nel 1924 solo il leggendario finlandese Paavo Nurmi.

Tra le specialità tecniche, grande attesa per Bernard Lavillenie, primatista del mondo, oro olimpico a Londra, ma impegnato contro un tabù. Nessun francese, in una specialità in cui i transalpini fanno scuola, ha mai conquistato il titolo mondiale. Lavillenie è favorito, ma segnali contrastanti non sono mancati, a cominciare dalla brutta sconfitta nella prova parigina della Diamond League, dove si è fermato a 5,71 ed è stato battuto dal greco Filippidis, dal brasilianoThiago Braz e dallo statunitense Kendricks. Attenzione anche al tedescoHolzdeppe. Di altissimo livello si presenta anche il salto triplo: poi quella del triplo Pedro Pablo Pichardo e Christian Taylor possono fare più di un pensierino al balzo prodigioso di Jonathan Edwards che nessuno batte da 20 anni.

Un bel personaggio potrebbe essere lo statunitense Evan Jager, il bianco destinato -forse- a interrompere il dominio africano nei 3000 siepi. Vedersela contro Kemboi e i due Kipruto, tanto per fare qualche nome, non è impresa da poco. Però il modo di correre di Jager, oltre al suo modo di porsi, piace molto alla platea dell’atletica. E paradossalmente l’incidente di Parigi, quando si stava involando verso la vittoria ma è caduto sull’ultimo ostacolo (a tutto vantaggio di Jairus Birech), ne ha accresciuto la popolarità. A proposito di bianchi emergenti, godibile la sfida negli 800 dove il bosniaco Amel Tuka, se la vedra con dua africani:  Amos del Botswana e il grandissimo keniano Rudisha, del quale però non è chiaro lo stato di forma.

E veniamo alle chance italiane di medaglia, che sono poche ma comunque ci sono. Si parte con la maratona, in cui schieriamo il campione europeo, Daniele Meucci, in gara insieme al veterano Ruggero Pertile. Oggettivamente l’azzurro deve fare una impresa al limite dell’impossibile, visto che si troverà di fronte il meglio dell’Africa: il campione olimpico e mondiale in carica, l’ugandeseKiprotich, il detentore della migliore prestazione mondiale Kimetto e colui che lo ha preceduto (Kipsang), il vincitore di Parigi Korir, gli etiopi Desisa (argento a Mosca 2013), Lemi e Negesse. Più concrete le chance nel salto in alto, dove l’Italia schiera due outsider che però – detto che quel tipo di gare è sempre un terno al lotto- possono puntare al bottino grosso: Gianmarco Tamberi eMarco Fassinotti. Il più atteso è il primo, che ha fissato i limiti italiani su uno straordinario 2,37, ma anche Fassinotti, come testimoniato dalla vittoria a Parigi proprio su Tamberi, ha le carte in regola per fare bene. Bisognerà vedere ovviamente cosa faranno avversari dalla potenzialità ancora superiori ai nostri: Barshim ultimamente non ha brillato, Bondarenko ha saltato poco, il canadese Drouin è uno costante, da competizione. Resta il cinese Zhang Guowei e il suo 2,38 ottenuto a Eugene: il tifo di casa, in una gara che presenta aspetti psicologici delicati, è però una pressione non facilissima da gestire. Chiudiamo con la marcia, spesso ancora di salvataggio del medagliere azzurro. Il dato è l’assenza quasi totale della formazione russa, ridotta ad un solo elemento (nella 50 km maschile) a causa dei troppi casi di doping. Non è facile che possa inserirsi per il podio Giorgio Rubino, mentre in campo femminile ci sono possibilità nella 20 km. La cinese Hong Liu sembra fuori portata, ma per le altre medaglie si può sognare con Eleonora Giorgi(seconda in coppa Europa e primatista italiana) ed Elisa Rigaudo, che sette anni fa proprio a Pechino conquistò un indimenticabile bronzo olimpico.

Fonte: IL CORRIERE DELLO SPORT