«Sono addolorato per i recenti combattimenti tra l’Azerbaigian e l’Armenia. Esprimo la mia spirituale vicinanza alle famiglie delle vittime, ed esorto le parti a rispettare il cessate-il-fuoco, in vista di un accordo di pace. Non dimentichiamo: la pace è possibile quando tacciono le armi e incomincia il dialogo!»
Mentre ringrazio il Papa per avere ricordato la tragedia che si sta compiendo in Armenia, rimango addolorato e sgomento per le poche reazioni che si vedono nel nostro mondo occidentale. Un breve commento sui social (un post dove sono mostrati i volti giovani di tanti soldati morti per difendere la propria terra e le proprie tradizioni) dice: «Nella stampa di regime non trovi articoli veritieri su Artsakh e Armenia. Scrivono semplicemente di un “conflitto territoriale” o lo ignorano completamente. Non menzionano che gli armeni sono i nativi di quella zona. Neutralità e silenzio aiutano gli assassini.»
Abbiamo sentito una flebile voce, da parte di Libera, un partito dell’opposizione a San Marino, alzarsi a difendere i diritti degli armeni e deplorare l’oscuro silenzio dell’Unione Europea.
Oh, ma come desiderare di fare parte di un progetto politico europeo che non sa difendere la libertà e dignità di un popolo che già negli inizi del secolo scorso ha pagato con il tributo di un milione e mezzo di uomini, donne, bambini l’odio turco che aveva deciso di sterminare questa antichissima civiltà?
Così racconta l’ultimo assassinio un sito armeno: «Il soldato armeno Shavarsh Margaryan è stato ucciso in cattività. Lo riferisce l’utente di Facebook Armine Dovlatbekyan.
Chi ha ucciso il secondo prigioniero?
Faremo pace con loro?
Mi dispiace Soldato ARMENO…
Portare il nemico a Geria, quindi caricare un video, trasferendolo due giorni dopo….
L’immagine mostra Shavarsh Margaryan, il giorno dopo l’inizio della guerra, la stampa azerbaigiana ha pubblicato un video in cui Shavarsh, ferito, era in stato di incoscienza. Fanno prigionieri e… la cosa peggiore… insieme ai corpi dei ragazzi eroi che hanno consegnato alla parte armena, hanno consegnato anche il corpo di Shavarsh.
Risponderanno al tuo dolce sorriso.
Non digeriranno.
Il ragazzo come la luce divenne luce.»
Accanto e prima di quanto domenica ha detto il Papa, abbiamo solo letto quanto il bravo giornalista Giulio Meotti ci comunica a proposito di questa immane tragedia.
Solo un accenno a quanto di terribile sta accadendo: «Si chiamava Anush Apetyan. I soldati azeri del regime di Aliyev hanno violentato questa soldatessa armena madre di tre figli, l’hanno decapitata, le hanno tolto gli occhi sostituendoli con pietre, le hanno tagliato le dita e gliele hanno infilate in bocca. E hanno filmato tutto. Anush è il simbolo di questo paese povero e martire, “il primo stato cristiano della storia”, questa Lepanto caucasica senza sbocco sul mare, nostalgico della vita del villaggio, delle sue tradizioni, dei suoi balli e canti durante i matrimoni e le feste, che ha la caratteristica (e la colpa?) di essere un’antica nazione cristiana in un ambiente musulmano. “Barbarie, odio e abominio, questo è ciò di cui è colpevole l’Azerbaijan e per questo non possiamo rimanere indifferenti o muti”, commenta Renaud Muselier, presidente della Costa azzurro francese, sul video di Anush.»
«Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli / pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava; / e se non piangi, di che pianger suoli?»
Il pianto e il grido di sdegno e dolore per l’immane tragedia e per il silenzio (colpevole?) della nostra Europa devono diventare proposta e impegno di tutti, chiedendo alla politica di non voltarsi dall’altra parte. Come ricorda il laico Michel Onfray, intervistato da Meotti: «Una civiltà non muore per colpa di chi se ne impossessa, ma perché i conquistatori entrano in una zona già morta, intellettualmente corrotta, spiritualmente marcia, culturalmente brulicante di vermi, moralmente decomposta. Nessuno conquista mai altro che rovine.»
Forse siamo in tempo perché l’irreparabile non accada, e non sarebbe solo la fine dell’Armenia, ma della libertà per tutti noi. Il gas (di cui abbiamo certamente bisogno) non può essere il piatto di lenticchie che tacita la nostra coscienza e la nostra dignità e responsabilità.
Don Gabriele Mangiarotti